Fino al 31 dicembre, le esportazioni di neon, krypton e xenon - essenziali per i microchip - necessiteranno dell’ok dal Cremlino. E i lavoratori dell’hub anseatico minacciano di bloccare le attività
Una guerra di nervi. Quella fra Russia e Unione Europea ormai ha travalicato i confini della mera ritorsione commerciale e sembra tramutarsi con il passare del tempo - e il peggiorare dei dati macro - in un chicken game per vedere chi per primo si lancerà dall’auto, concedendo la vittoria all’antagonista e sedendosi finalmente a un tavolo.
Con effetto immediato, infatti, la Russia ha voluto rispondere al varo del sesto pacchetto di sanzioni europee e imponendo un limite all’export di gas nobili fino al 31 dicembre. Insomma, da qui a fine anno, ogni spedizione fuori confine di neon, krypton e xenon - gas di cui la Russia è produttore per un terzo del totale mondiale - dovrà essere autorizzata dalla autorità statali. Nemmeno a dirlo, la mannaia moscovita è calata su materiali di fondamentale importanza per il comparto dei microchip, resi ancora più esiziali dal fatto che le due aziende ucraine - Cryoin e Ingas - che da sole garantivano metà della fornitura di neon globale sono chiuse dallo scorso marzo a causa della guerra.
E che la questione vada ben oltre al mero muro contro muro di corto respiro lo confermano le dichiarazioni di due parti in causa. A detta del vice-ministro del Commercio russo, Vasily Shpak, questa decisione ci garantisce un’opportunità per far sentire la nostra voce a livello globale. Inoltre, la scelta appena comunicata ci offre un vantaggio competitivo da porre sul tavolo, in caso si arrivasse alla scelta di costruire nuovamente negoziazioni di mutuo beneficio con i nostri colleghi. Tradotto dal sovietico antico, teniamo il coltello dei chip dalla parte del manico. E una mezza conferma dello status attuale è arrivata a stretto giro di posta dall’omologo statunitense di Vasily Shpak, Gina Raimondo, la quale al termine di un incontro con i CeO dei principali operatori nel campo dei microchip ha confermato come questa nuova ritorsione potrebbe far protrarre la scarsezza di semiconduttori sul mercato per tutto il 2023 e forse parte del 2024, quantomeno prima di poter davvero sperare in un minimo di sollievo sulla catena di fornitura.
E se la leader russa del comparto, Shpak, ha salutato la decisione come un’opportunità per intervenire su quelle parti della catena di fornitura che si sono interrotte o danneggiate e, nel caso, crearne di nuove, occorre sottolineare come l’addio al mercato moscovita di giganti come Intel, Samsung, TSMC e Qualcomm aveva non poco compromesso l’operatività interna, soprattutto dopo le limitazioni all’export verso la Russia varate da Taiwan. Insomma, ciò che appare una clava potrebbe in realtà nascondere un primo ramoscello d’ulivo. Il problema sta nei tempi, poiché eventuali prolungamenti del braccio di ferro fra le parti potrebbero infliggere danni produttivi a ogni latitudine.
E per non farci mancare nulla, ecco che dal porto di Amburgo arrivano due notizie decisamente poco confortanti. Stando a quanto riportato da Die Welt, la congestione all’hub anseatico è già oggi tale da richiedere fino a due settimane di attesa prima che i cargo in coda vengano scaricati. Trattandosi del terzo scalo europeo e del 15mo al mondo per importanza e volume di merci, ci troviamo di fronte a un potenziale offset negativo alle buone notizie che sembrano cominciare ad arrivare dalla Cina, dopo settimane intere di lockdown e paralisi commerciale. A detta del portavoce della Hamburger Hafen und Logistik AG (HHLA), azienda leader della logistica, il problema riguarderebbe proprio i cargo in arrivo dal Far East, il cui carico oltre al ritardo nell’off-loading sconta anche ritardi nel trasporto su gomma e rotaia dall’hub al resto d’Europa. Ad oggi, il 2% delle merci mondiali movimentate via container è fermo ad Amburgo.
Il problema? I lavoratori del porto minacciano uno sciopero a oltranza a partire da martedì prossimo, al fine di porre pressione sulle controparti in vista dei nuovi round negoziali per i rinnovi contrattuali che ripartono il 10 giugno. Fino ad oggi vigeva una sorta di fascia di garanzia, la quale però scade appunto alla mezzanotte di lunedì prossimo e permetterebbe quindi ai sindacati di proclamare immediatamente un’agitazione. Interpellato con la garanzia dell’anonimato dall’Hamburger Abendblatt, un armatore ha così descritto la situazione in divenire: Se dovesse accadere, ad Amburgo si scatenerebbe un tracollo operativo senza precedenti. Proprio ciò che l’Europa alle soglie della recessione necessiterebbe. Certo, una criticità simile potrebbe rimbalzare in fretta fino alla vicina Olanda. E garantire un bell’alibi per l’ennesimo atto di inazione della Bce sui tassi. Ma con l’inflazione già all’8,7%, massimo assoluto dal quando vengono tracciate le serie storiche (1963), la Germania può permettersi un blocco delle merci che metta ulteriormente il turbo ai prezzi senza che l’Eurotower faccia nulla per tamponare?
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