Con un referendum, la Danimarca dice no ad una maggiore cooperazione con l’Ue in tema di giustizia e sicurezza. Si teme un aumento del rischio Brexit.
La Danimarca dice no all’Unione europea. Dopo la bocciatura del Trattato di Maastricht nel 1992 e dell’euro nel 2000 – con un referendum – il popolo danese ha respinto la proposta del governo che puntava al rafforzamento dell’integrazione europea in materia di giustizia e sicurezza. Nello specifico, il “No Camp” ha vinto con il 53,1% dei voti, contro il 46,9% del “Yes Camp”, in un referendum in cui si è espresso il 72% dei danesi con diritto di voto. La Danimarca, adesso, rischia di uscire dall’Europol, l’Ufficio di Polizia della Ue che supporta i paesi membri dell’Unione nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata su base internazionale.
Da Bruxelles, il presidente della Commissione europea,Jean-Claude Juncker, ha fatto sapere che incontrerà la prossima settimana il primo ministro della Danimarca, Lars Rasmussen, al fine di discutere in merito alle conseguenze del referendum. Tuttavia, ciò che spaventa di più è la possibilità che tale risultato possa generare una sorta di effetto domino sugli altri paesi. In particolare, gli osservatori hanno paura che lo schiaffo danese alla Ue possa alimentare il rischio “Brexit”, ovvero l’uscita dell’Inghilterra dall’Unione europea (anche questa verrà sottoposta a referendum popolare).
Danimarca: il no all’UE aumenta il rischio Brexit
Fin dall’origine del processo d’integrazione europea, Londra si è sempre mostrata euroscettica. Infatti, già all’epoca, tale posizione aveva portato il Generale de Gaulle a puntualizzare che l’Inghilterra (da lui considerata il “cavallo di Troia” degli americani e dell’Atlantismo), non era interessa ad entrare in una cooperazione reale con l’Europa, ma mirava a fare da arbitro, senza un reale coinvolgimento. Questo perché, la Gran Bretagna – utilizzando un concetto espresso da Winston Churchill durante il discorso tenuto alla Conferenza economica del movimento europeo (svoltosi a Londra il 20 aprile 1949), in cui aveva sintetizzato il ruolo geopolitico del suo Paese, avvalendosi della figura di tre cerchi: «il cerchio dell’Impero britannico e del Commonwealth, quello dei popoli di lingua inglese e dell’Europa unita» – ha da sempre identificato i propri successi di politica estera con l’Impero e il Commonwealth, associando i problemi e pericoli con il continente europeo. Alla luce di ciò, non dovrebbe stupire, quindi, il desiderio britannico di lasciare l’Unione europea.
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A tal proposito, David Cameron – in vista del referendum sulla Brexit – sta cercando di ottenere, entro Natale, qualche risultato positivo dai negoziati con Bruxelles sulle ’riforme’ che il suo governo ha chiesto per scongiurare l’uscita dalla Ue. In particolare, sono quattro i punti su cui poggia la richiesta della Gran Bretagna: governance economica, competitività, sovranità, immigrazione.
Per quanto riguarda il capitolo governance economica, il premier britannico vorrebbe introdurre dei principi “giuridicamente vincolanti e meccanismi attuativi a tutela dell’integrità del Mercato Unico”. Rispetto alla competitività, l’Inghilterra ha chiesto impegni più concreti a favore della crescita, della libera circolazione di capitali, beni e servizi. Inoltre, Londra starebbe spingendo anche verso la stipula di accordi commerciali con Usa e Asia. Per quanto concerne il tema della sovranità, Cameron ha chiesto in maniera perentoria l’esclusione di ogni obbligo per il suo Paese riguardo ad una maggiore integrazione. Sull’argomento immigrazione, infine, Londra continua ad opporsi a ciò che ha definito «l’abuso della libertà di movimento», fissando dei paletti al ricorso ai benefici del welfare altrui da parte degli immigrati.
Tutti argomenti che Bruxelles ha definito «altamente» spinosi, ma su cui ha intenzione di discutere.
(Fonte: Reuters)
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