Nel giorno dell’incontro fra Putin e aziende italiane, Berlino capitola: è nata Gas for Europe GMBH, società di diritto tedesco che bypassa la legge sull’Energia. Aprendo la strada alle concessioni
Il simbolico colpo di martelletto sul ginocchio della realtà ha svelato un dato di fatto preoccupante: il Copasir è in coma vigile. Il Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, infatti, è stato fra gli organismi che maggiormente ha criticato la video-call fra i principali CeO di aziende strategiche italiane e Vladimir Putin tenutosi ieri, arrivando a sottolineare come l’accaduto potesse sostanziarsi in un rischio per il profilo atlantico dell’Italia.
C’è un problema: quell’incontro è stato deciso a settembre e comunicato al ministero degli Esteri a novembre. Tutti d’accordo. Nulla osta. Come mai ci sono voluti fra i quattro e i due mesi e mezzo per rendersi conto di un potenziale di delegittimazione simile? La risposta appare ovvia: all’epoca non era in atto la crisi in Ucraina. Vero. Ma al netto di imprenditori italiani che - eccezion fatta per Eni - non hanno ceduto alla moral suasion dell’ultim’ora di un imbarazzato governo per disertare l’incontro (come chiaramente denunciato dal portavoce del Cremlino, Dimitry Peskov e non smentito da Roma) e di un Vladimir Putin che ha lisciato il pelo alla nostra industria prospettando un lungo e favorevole rapporto con Gazprom, occorre sottolineare come sia la stessa Kiev a ridimensionare da 48 ore ininterrottamente gli allarmi che partono da Washington.
Se infatti il Pentagono ora fissa per metà febbraio la data dell’invasione (dopo averla individuata a inizio dicembre, fine anno e metà gennaio), il governo ucraino ha addirittura bollato come eccessiva la scelta americana di evacuare il personale diplomatico non indispensabile. E i giornali britannici - per una volta non solo gli impietosi tabloid - hanno massacrato Boris Johnson per la scelta di difendersi dalle accuse legate ai festini a Downing Street scomodando proprio l’imminente invasione russa dell’Ucraina come alta motivazione morale per ritenere irresponsabile dimettersi ora. Più che un question time ai Commos, quello di ieri è stato un raro caso di spoiler di un suicidio politico annunciato.
Ma se questi grafici
mostrano plasticamente cosa muova l’interventismo Usa sull’Ucraina in vista del mid-term, stante un’inflazione che sta massacrando il potere d’acquisto di una classe media orfana del doping pandemico dei sussidi e colpendo durissimo le dinamiche dei prezzi di beni di prima necessità come grano, latte, carne di maiale e caffè, sono due le novità che possono cambiare la narrativa. Primo, la durissima presa di posizione in seno alla Nato del presidente croato (socialdemocratico e filo-europeista), Zoran Milanović, il quale ha detto chiaro e tondo che se l’Alleanza dovesse dar vita a un’escalation, la sua nazione non solo non invierebbe truppe ma ritirerebbe ogni singolo soldato in servizio attivo sotto l’egida Nato.
Il motivo? Occorre prendere atto che il quadro della tensione si trova sull’uscio di casa della Russia e che quindi è doveroso tenerne seriamente in considerazione le preoccupazioni legate alla sicurezza. E stante il legame storico fra Russia e Serbia, certamente un leader croato non è portato a fare sconti a Mosca. Secondo e assolutamente tellurico, proprio ieri - mentre gli Usa recapitavano la loro fumosa proposta di dialogo al Cremlino - Nord Stream 2 AG, l’operatore svizzero proprietario della pipeline della discordia, ha registrato una sussidiaria di diritto tedesco, la Gas for Europe GMBH.
Tradotto, Berlino ha capito che il rischio di una Weimar 2.0 è più stringente di quello di un’invasione dell’Ucraina. E ha di fatto dato luce verde al processo di autorizzazioni per l’infrastruttura, bloccato lo scorso novembre poiché in contrasto con la legge che regola il settore energetico. Situata a Schwerin, nel Nord della Germania, l’azienda a cui fanno capo i 54 chilometri di Nord Stream 2 su acque territoriali tedesche ora può legalmente presentarsi alle istituzioni come operatore indipendente di sistemi di trasporto. Quindi, non più un’entità direttamente legata a un governo estero. Ovviamente, solo una formalità. La sostanzia resta uguale.
A cambiare e a tempo di record, in compenso, è stato l’approccio verso l’opera del governo Scholz. Questo nonostante la presenza della leader dei Verdi nell’esecutivo. E alla guida proprio del ministero degli Esteri. Ora i lavoratori e i dipendenti del consorzio Nord Stream 2 (il quale contempla gli operatori tedeschi Uniper e Wintershall, l’austriaca OMV, la francece Engie e l’anglo-olandese Royal Dutch Shell) sono totalmente sotto legislazione giuslavorista tedesca, quindi nulla più osta a un via libera che per l’Europa - a pieno regime - si sostanzierebbe in 55 miliardi di metri cubi di gas russo verso l’hub di Mallnow e da lì distribuiti ai clienti verso tutte le direzioni nel Vecchio Continente.
Problema energetico risolto. O, quantomeno, grandemente ridimensionato nella portata. Politicamente, però, uno sconfitta clamorosa per il Dipartimento di Stato Usa, impegnato in una moral suasion piuttosto robusta verso Berlino fin dai tempi della gestione di Mike Pompeo. Da ieri qualcosa è cambiato egli equilibri geopolitici e in seno alla Nato. E in maniera drastica. Qualcuno avverta il Copasir.
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