Nota congiunta di sindacati e imprese tedesche per il no al bando Ue. E mentre Gazprom offre un mese in più per i pagamenti in rubli, la domanda di LNG costringerà Biden a guardare al mercato interno.
Nemo propheta in patria. Ursula Von der Leyen non deve esserci rimasta molto bene. Nemmeno 24 ore dopo la sua dichiarazione rispetto alla volontà dell’Ue di includere il comparto energetico russo nel nuovo pacchetto di sanzioni che verrà varato dopo il ballottaggio francese, che proprio la natia Germania ha gelato le sue intenzioni bellicose.
La Bda, associazione degli industriali tedeschi e la Dgb, sigla-ombrello dei sindacati, hanno infatti firmato una nota congiunta nella quale hanno espresso la propria ferma opposizione all’ipotesi di un embargo sul gas russo, paventando una deindustrializzazione della Germania. In una dichiarazione all’agenzia Dpa, i presidenti delle due associazioni, Rainer Dulger e Rainer Hoffmann, hanno sottolineato come le sanzioni dovrebbero essere mirate, esercitare pressione sul destinatario e prevenire il più possibile danni alla propria economia. A detta della strana coppia, un blocco delle importazioni di gas russo avrebbe invece conseguenze molto più gravi per l’economia e il mercato del lavoro tedeschi che per la Russia: Un immediato embargo sul gas comporterà perdite di produzione, arresti della produzione, ulteriore deindustrializzazione e continue perdite di posti di lavoro. Nei prossimi mesi avremo ancora molti problemi da risolvere. Non possiamo agire da una posizione di debolezza.
Di fatto, una pietra tombale. Perché un governo già notevolmente irritato con Kiev per il trattamento riservato al presidente Steinmeier, definito persona non grata e bandito dal Paese, tutto può permettersi tranne che inimicarsi in un solo colpo imprenditori e sindacati. Questi ultimi, tra l’altro, grandi elettori storici della SPD. E dopo venti anni di opposizione al dominio CDU-CSU, le pressioni su Olaf Scholz affinché ignori la presa di posizione del mondo del lavoro dovrebbero essere decisamente forti. Al limite della minaccia. E che qualcosa si muova neppure troppo sottotraccia sull’asse Berlino-Mosca, nonostante la formale adesione dell’Ue a un cronoprogramma di aumento della pressione sulla Russia, lo ha confermato in contemporanea la decisione di Gazprom per la proroga di un mese rispetto alla deadline del 30 aprile per il pagamento in rubli delle forniture di gas in essere. Le quali, come si è affrettato a confermare il gigante energetico, ad oggi proseguono in maniera assolutamente lineare e sui volumi contrattualmente concordati con le controparti europee.
Insomma, la Germania pare già chiamarsi fuori. Quantomeno per tutto ciò che riguarderà eventuali decisioni sul comparto energetico, le quali già oggi appaiono lettera morta a fronte del veto dichiarato di Berlino, Vienna e Budapest e il silenzioso smarcamento al riguardo di Parigi. E che l’Italia con la sua impronta di intransigenza verso Mosca rischi di pagare più di tutti la sua scelta di adesione totale al diktat dei falchi, lo mostra questo grafico,
dal quale si evince come l’aumento delle esportazioni di LNG statunitense verso l’Europa abbia spinto il prezzo di quest’ultimo ai massimi dal 2008. Tradotto, per quanto tempo Joe Biden potrà anteporre l’affrancamento di un’Europa che vede il suo motore politico-economico bocciare le sanzioni più efficaci alle dinamiche di domanda e prezzo interne, oltretutto a sette mesi dalle elezioni di mid-term? E in contemporanea con quanto mostrato da questo altro grafico,
impietoso nell’illustrare come proprio questa mattina il prezzo del WTI al barile si sia rimangiato interamente i cali garantiti dall’annuncio della Casa Bianca di sblocco record delle riserve strategiche. Quindi, prezzo alla pompa destinato a restare sui livelli record attuali, proprio alla vigilia della stagione turistica e degli spostamenti.
Ma non basta ancora. Perché questi altri due grafici
paiono destinati a piantare il proverbiale chiodo nella bara dell’alternativa Usa alla dipendenza russa dell’Europa. Se infatti il gap legato all’aumento di domanda di LNG è già oggi visibile e plasticamente destinato ad archiviare un possibile affrancamento da Gazprom dell’Ue, la seconda immagine pare assumere il tono della sentenza proprio per il nostro Paese. Dei 126 miliardi di metri cubi di LNG importati in Europa e non utilizzati nel 2021, livello non lontano da 155 miliardi che compriamo dalla Russia, 93 sono inservibili poiché blindati in Spagna e non utilizzabili oltre i Pirenei oppure destinati a Regno Unito e Turchia. Cosa resti è chiaro e visibile a tutti: di fatto, la quasi certezza di condizionatori (e non solo) spenti. A meno che i ministri Cingolani e Di Maio non tornino da Congo e Angola con accordi e contratti risolutori...
© RIPRODUZIONE RISERVATA