Sacrificare Durigon per cacciare Lamorgese: per molti questa sarebbe la strategia di Salvini, ma al leghista conviene più che il ministro resti al Viminale per poter portare avanti la sua propaganda.
Niente più barricate sul fedelissimo Claudio Durigon per puntare al bersaglio grosso: la cacciata di Luciana Lamorgese, il ministro dell’Interno su cui pende anche una possibile mozione di sfiducia da parte di Fratelli d’Italia.
Per i giornali questa sarebbe la strategia di Matteo Salvini, una sorta di do ut des per mandare a casa il ministro da tempo al centro degli attacchi da parte della Lega per la gestione dell’ordine pubblico e della questione migranti.
Come noto, dopo l’uscita sul parco a Latina da intitolare ad Arnaldo Mussolini invece che ai magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, PD e 5 Stelle da settimane chiedono la cacciata dai ranghi del Governo di Claudio Durigon, attuale sottosegretario al MEF.
Matteo Salvini finora ha sempre difeso il suo sottosegretario ma adesso, dopo un colloquio con Mario Draghi dove comunque il caso-Durigon non sarebbe stato tra i temi discussi, il leader del Carroccio per la prima volta ha aperto a un passo indietro da parte dell’ex vice segretario dell’UGL: “Ho fiducia in lui, parlerò io con Claudio”.
Al tempo stesso, Salvini è tornato alla carica nel chiedere la testa del ministro Lamorgese: “Sarà necessario un cambio: non si sa cosa abbia fatto in otto mesi, tra morti nel Mediterraneo e rave party”.
Il piano sembrerebbe essere così molto chiaro: dare vita a una sorta di mini-rimpasto di Governo dove a perdere la poltrona non sia solo Claudio Durigon, ma anche Luciana Lamorgese. Una strategia questa che però potrebbe essere controproducente per Matteo Salvini.
Perché a Salvini fa comodo Lamorgese al Viminale
In un periodo in cui i sondaggi non sorridono più alla Lega, ormai superata da Fratelli d’Italia dopo l’ingresso nella maggioranza che sostiene il governo Draghi, Matteo Salvini deve cercare di rivedere quella che è la sua strategia comunicativa.
Quando il prossimo 3 e 4 ottobre si voterà per le elezioni amministrative e per le regionali in Calabria, le urne potrebbero certificare questo cambio nei rapporti di forza all’interno del centrodestra.
Per stoppare in qualche modo l’avanzata di Giorgia Meloni, negli ultimi giorni Matteo Salvini e Silvio Berlusconi hanno accelerato nel loro progetto di federare Lega e Forza Italia. Oltre a questa mossa politica, serve però anche materiale per portare avanti questa sorta di campagna elettorale permanente.
Con Mario Draghi che resta sempre “intoccabile”, il Carroccio dopo la cacciata dell’ex commissario straordinario all’emergenza Covid Domenico Arcuri ha subito trovato il nuovo bersaglio delle critiche: Luciana Lamorgese.
Dai migranti alla sicurezza fino alle ultime polemiche sul rave party nel viterbese, il ministro dell’Interno è rimasto l’ultimo appiglio per “picchiare” sui temi da sempre cari all’elettorato leghista.
Poco conta se al Viminale come sottosegretario c’è un big del Carroccio come Nicola Molteni, per non dare campo libero totale a Giorgia Meloni, che è nella ben più comoda posizione di leader dell’unico partito di opposizione, a Matteo Salvini serve che Luciana Lamorgese resti al suo posto per poter continuare ad attaccare il ministro.
Nel caso di un cambio al Ministero dell’Interno, con l’arrivo magari di un tecnico gradito alla Lega, verrebbe meno così il perfetto capro espiatorio proprio nel momento in cui l’Europa sarà tenuta a gestire l’inevitabile flusso migratorio derivante dalla crisi in Afghanistan.
Anche a Mario Draghi poco converrebbe una balcanizzazione della sua maggioranza su un tema spinoso come quello dell’imigrazione, specie in vista di un autunno che si preannuncia essere molto caldo sul fronte lavoro e pandemia.
Il sentore è di conseguenza che Claudio Durigon, nonostante le sue resistenze, alla fine dirà addio al suo ruolo al MEF magari con la prospettiva di qualche incarico futuro di peso quando si saranno calmate le acque, mentre Luciana Lamorgese appare destinata a restare al suo posto perché un avvicendamento al Viminale, in fondo, non conviene né a Matteo Salvini né a Mario Draghi.
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