In caso di soppressione del posto di lavoro, il lavoratore può essere licenziato ma non demansionato. Il demansionamento dà diritto al risarcimento danni. Lo dice la Cassazione.
Se il posto di lavoro viene soppresso, il lavoratore può essere licenziato per giustificato motivo oggettivo ma non demansionato. Se il datore di lavoro procede al demansionamento, il lavoratore ha diritto al risarcimento danni.
Così ha stabilito la Corte di Cassazione (sentenza allegata) analizzando il caso di un’azienda che per preservare i posti di lavoro dopo la soppressione della posizione lavorativa aveva disposto il demansionamento di un dipendente. Difatti l’azienda è stata condanna al risarcimento danni da demansionamento.
I dettagli nell’ordinanza numero 10023/2019.
Soppressione del posto di lavoro, il lavoratore non può essere demansionato: il caso di specie
Quando l’azienda sopprime un posto di lavoro può procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo ma non al demansionamento del dipendente. A stabilirlo la Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 10023 del 10 aprile 2019 (in allegato).
La decisione della Corte di Cassazione risolve un caso durato diversi anni: in primo grado il tribunale aveva condannato l’azienda al risarcimento da demansionamento, sia per il danno patrimoniale che non patrimoniale, per il fatto che il lavoratore era stato demansionato in maniera assoluta in seguito alla soppressione della posizione lavorativa prima ricoperta.
Anche la Corte d’Appello aveva confermato la decisione presa in primo grado di giudizio ma l’azienda condannata al risarcimento aveva deciso di fare ricorso in Cassazione. Ma gli ermellini hanno respinto il ricorso, confermando quanto già stabilito.
Dunque, anche quando vi è il consenso del lavoratore, in caso di soppressione del posto di lavoro, l’azienda non può procedere al totale svuotamento delle mansioni del lavoratore.
Soppressione del posto di lavoro: gli obblighi dell’azienda
Quando l’azienda sopprime una o più posizioni lavorative, il datore di lavoro è obbligato ad trasferire il o i dipendenti in posizioni equivalenti a quelle soppresse. Quando non sono presenti, l’azienda non può spostare il dipendente a mansioni totalmente difformi da quelle precedentemente svolte, anche se ciò appare l’unico modo per conservare il rapporto di lavoro.
Dunque, in questo caso, il datore di lavoro deve predisporre il c.d. licenziamento per giustificato motivo oggettivo che ricorre quando esiste un’esplicita necessità dell’azienda, ad esempio una crisi aziendale che può investire l’intera attività produttiva o singoli comparti aziendali.
Quando incorre il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’azienda ha l’onere di provare la sussistenza dei motivi che sono alla base del licenziamento, nonché il nesso causale tra la crisi aziendale e la soppressione del posto di lavoro e l’impossibilità di spostare il lavoratore verso mansioni equivalente a quelle svolte in precedenza.
© RIPRODUZIONE RISERVATA