Il demansionamento dà luogo al risarcimento danni quando il lavoratore prova in giudizio l’entità della lesione ed il nesso causale. Criteri per la liquidazione del danno.
In caso di demansionamento, il lavoratore ha diritto ad ottenere il risarcimento se prova in giudizio gli elementi del danno. Infatti il risarcimento per demansionamento non è automatico ma è subordinato alla dimostrazione del danno psicofisico subito a causa della condotta del datore di lavoro.
Per calcolare l’ammontare del risarcimento il giudice dovrà valutare diversi fattori: le caratteristiche del lavoro, la durata del demansionamento, la gravità della condotta e l’entità dei danni subiti.
La Corte di Cassazione ha ribadito che il lavoratore demansionato può ottenere sia il risarcimento del danno patrimoniale che quello non patrimoniale.
RISARCIMENTO PER DEMANSIONAMENTO: QUANDO SPETTA E COME SI CALCOLA
Demansionamento: come si calcolano i danni
Tra le varie facoltà del datore di lavoro rientra anche quella di demansionare un dipendente quando è strettamente necessario per tutelare l’attività produttiva.
Tuttavia, se il demansionamento non avviene correttamente, il lavoratore può agire in giudizio e chiedere al giudice il risarcimento dei danni.
Il risarcimento per demansionamento può comprendere due fattori:
- i danni patrimoniali, cioè l’impoverimento della capacità lavorativa del dipendente e la mancata acquisizione di nuove competenze, nonché la perdita il lucro cessante e la perdita di chance lavorative;
- i danni non patrimoniali, che consistono nella lesione di beni immateriali che hanno a che fare con la sfera personale del lavoratore, come ad esempio il diritto alla salute.
Precisiamo però che il risarcimento danni da demansionamento non opera in maniera automatica; pertanto il lavoratore deve dimostrare in giudizio l’esistenza di un danno apprezzabile ed il nesso causale tra la lesione e l’ingiusto demansionamento deciso dal datore di lavoro.
Demansionamento: la prova del danno
Come abbiamo detto, non sempre il datore di lavoro è tenuto a rispondere civilmente del demansionamento, ma il risarcimento scatta solo laddove il lavoratore dipendente provi in modo specifico la natura e le caratteristiche del pregiudizio. Questo significa che, in sede di giudizio, il dipendente dovrà allegare le certificazioni mediche che dimostrano il danno psicofisico oppure la concreta riduzione di capacità professionale dovuta alle nuove mansioni.
Questo è quanto stabilito dalla sentenza n. 22.288 del 2017 della Cassazione che recita:
“Il danno non patrimoniale patito dal lavoratore in seguito a demansionamento va risarcito ogniqualvolta siano lesi alcuni diritti inviolabili costituzionalmente garantiti. Il datore di lavoro risponde a titolo di responsabilità contrattuale, quando il dipendente ne offra una dimostrazione, anche tramite presunzioni semplici, sulle quali il giudice può fondare in via esclusiva il proprio convincimento”.
Dunque, prima di procedere al risarcimento per demansionamento, il giudice adito deve riscontrare la presenza di un danno concretamente valutabile, non bastando il solo inadempimento contrattuale del datore di lavoro.
Da ciò si evince che il lavoratore demansionato che vuole ottenere il risarcimento non può prescindere dall’allegazione di documenti che attestino il danno patrimoniale, biologico o esistenziale. In particolare, per quanto riguarda il calcolo del danno biologico, il risarcimento per demansionamento non può mai prescindere da un certificato medico che accerta la lesione dell’integrità psicofisica, mentre il danno esistenziale va provato con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento.
Inoltre il lavoratore deve anche dimostrare il nesso causale tra il demansionamento ed il danno sofferto e cioè che la dequalificazione professionale è la causa scatenante della sofferenza fisica, psichica o emotiva.
Gli effetti della richiesta di risarcimento per demansionamento
Quando il demansionamento integra un’ipotesi di violazione contrattuale, il dipendente che agisce in giudizio può ottenere due provvedimenti, alternativi tra loro:
- il riconoscimento della qualifica corretta e la reintegrazione nella posizione originaria;
- lo scioglimento del vincolo lavorativo e l’assegno di disoccupazione, quando il demansionamento è tale da impedire il proseguimento del contratto di lavoro.
Tuttavia, nell’attesa della pronuncia del giudice, il dipendente non può cessare l’attività lavorativa a sua discrezione; ciò giustificherebbe un licenziamento per giusta causa da parte del datore di lavoro.
Quando è ammesso il demansionamento?
Come abbiamo più volte sottolineato, non sempre il demansionamento dà luogo ad una fattispecie illecita. Per sintetizzare, il lavoratore può essere demansionato in due ipotesi:
- in caso di modifica sostanziale ed effettiva dell’assetto organizzativo aziendale;
- nei casi in cui lo prevede il contratto di categoria di riferimento.
In entrambe le ipotesi, il datore di lavoro deve comunicare le nuove mansioni in forma scritta, pena la nullità della decisione.
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