Per “danno da lucro cessante” si intende il mancato guadagno dovuto ad un illegittimo comportamento altrui. Calcolarlo può essere difficile: vediamo come fare in questa guida.
Come si calcola il risarcimento per lucro cessante? E, soprattutto, cosa si intende esattamente con questa definizione?
Prima di procede al metodo di calcolo, partiamo con ordine. Il “lucro cessante” viene comunemente indicato anche con l’espressione “mancato guadagno”, si tratta, difatti, del mancato conseguimento di una cifra di denaro a causa del comportamento illecito di qualcun altro.
Calcolarlo non è una delle operazioni più semplici perché implica di ipotizzare quanto eventualmente una persona avrebbe potuto guadagnare se non fosse intervenuto un determinato fatto. A complicare ulteriormente le cose c’è il fatto che procurarsi delle prove che attestino ciò che sarebbe eventualmente potuto succedere alcune volte si rivela difficile se non impossibile.
Per facilitare il calcolo è intervenuta la Corte di Cassazione, la quale ha stabilito i criteri da applicare per rendere il risarcimento danni il più veritiero possibile. Questi criteri sono validi per tutti i lavoratori sia dipendenti che autonomi.
Cosa si intende per lucro cessante?
Per lucro cessante si intende il mancato guadagno causato dalla commissione di un fatto antigiuridico oppure da un inadempimento contrattuale; in altre parole, esso corrisponde a delle mancate entrate nel patrimonio della persona ingiustamente danneggiata.
Questa tipologia di danno, insieme a quello emergente, serve a definire in maniera unitaria e completa la nozione di danno patrimoniale, come si evince dall’articolo 1223 del Codice civile, che recita:
“Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata”.
Dunque, per calcolare correttamente l’ammontare del danno e, quindi, stabilirne il risarcimento, il giudice dovrà tenere conto sia della perdita effettiva di denaro conseguente per esempio dopo un furto sia del mancato guadagno che si sarebbe potuto ottenere se il fatto che dà origine al risarcimento non si fosse manifestato.
Lucro cessante, quanti tipi di danno?
Quando si parla di lucro cessante bisogna prendere in considerazione due conseguenze differenti che possono scature da un fatto illecito:
- l’impossibilità di utilizzare un bene;
- la mancata realizzazione di rapporti contrattuali nei cosiddetti “danni futuri” provocati dalla perdita o dalla diminuzione della capacità lavorativa oppure della capacità di versare prestazioni assistenziali.
Quest’ultima tipologia, può essere ulteriormente suddivisa in due voci differenti:
- la capacità lavorativa generica;
- la capacità lavorativa specifica.
Con la prima si intende l’incapacità di svolgere qualsiasi mansione mentre con la seconda ci si riferisce all’impossibilità di procedere a una determinata attività, consentendo quindi di trovare impiego in altri settori.
La perdita della capacità lavorativa generica rientra nella figura del danno biologico; al contrario il secondo tipo di danno si riferisce a un’incapacità specifica e quindi, trattandosi di danno patrimoniale futuro, il calcolo della liquidazione relativo a questo va condotto solo a seguito di un’attenta valutazione di tutte le circostanze del caso.
La liquidazione del danno per lesione della capacità lavorativa specifica può essere riconosciuto anche al soggetto in procinto di entrare nel mondo del lavoro, quindi ancora non impiegato a tutti gli effetti, ma sempre se è possibile dare prova dell’attività lavorativa che avrebbe svolto.
La liquidazione del danno da lucro cessante
Ora che sappiamo cosa intende per lucro cessante e quali tipologie di danno lo determinano vediamo come procedere al calcolo dello stesso e alla successiva liquidazione.
Come si è detto è necessario stabilire alcuni criteri univoci per determinare il preciso ammontare del danno, in modo che sia il più equo possibile per le parti in causa.
Innanzitutto occorre distinguere se il danneggiato sia un lavoratore dipendente o autonomo. Facciamo chiarezza:
- per il lavoratore dipendente si calcola sulla base del reddito da lavoro maggiorato dei redditi esenti e delle detrazioni di legge;
- per il lavoratore autonomo si calcola sulla base del reddito netto più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato, ai fini IRPEF, negli ultimi tre anni.
Nel caso del lavoratore autonomo il giudice prenderà come punto di riferimento la base imponibile che ha dichiarato ai fini dell’imposta e non il reddito residuo dopo l’applicazione della stessa. Precisamente si baserà sulla
“differenza tra il totale dei compensi conseguiti, al lordo delle ritenute d’acconto, e il totale dei costi inerenti all’esercizio professionale senza possibilità di ulteriore decurtazione dell’importo risultante da tale differenza, per effetto del conteggio delle ritenute d’imposta sofferte dal professionista”.
Così ha stabilito la Cassazione nella sentenza n. 11759 del 15 maggio 2018.
Danno su minori
Come ci si comporta se il comportamento illecito danneggia un bambino che non è ancora arrivato a percepire un reddito? Questa domanda si pone ogni volta che il minore a causa del danno ingiusto è destinato a perdere completamente o parzialmente la propria forza lavorative, quindi la prospettiva di un guadagno futuro.
In questo caso si può procedere in due modi:
- capitalizzare il reddito perduto in base a un coefficiente corrispondente all’età della vittima al momento del danno, e poi ridurre il risultato moltiplicandolo per il cosiddetto coefficiente di minorazione per anticipata capitalizzazione;
- capitalizzare il reddito perduto in base a un coefficiente corrispondente all’età della vittima al momento in cui avrebbe iniziato presumibilmente a lavorare.
In quest’ultimo caso la vittima dovrà rinunciare al lavoro e dunque al reddito da esso ricavabile.
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