Previsione di crescita dei salari per il 2018

Simone Micocci

18/01/2018

Secondo le previsioni del TUC nel 2018 il salario reale in Italia subirà un brusco calo: quali sono le motivazioni? Probabilmente l’incidenza della produttività del lavoro che dal 1996 è cresciuta del solo 5,8%.

Previsione di crescita dei salari per il 2018

Nel 2018 in Italia è prevista una decrescita dei salari: lo ha rilevato il Trades Union Congress (TUC) che analizzando i dati dell’OCSE ha fatto una previsione della crescita dei salari nelle economie sviluppate nel corso del prossimo anno.

L’analisi riguarda il salario reale, ossia la quantità di beni e servizi che il lavoratore può acquistare con il suo stipendio, il che si traduce nel suo potere d’acquisto. Il salario reale si calcola tramite il rapporto tra il salario nominale (ovvero la quantità di moneta ricevuta come stipendio) e l’inflazione.

Per chi non lo sapesse la TUC è la confederazione con base a Londra che unisce i sindacati del Regno Unito; il loro obiettivo con questo report è di mettere in risalto la situazione difficile che il mercato del lavoro dell’UK sta attraversando da qualche anno, chiedendo che con l’accordo per la Brexit vengano trovate delle soluzioni per incrementare l’occupazione e i salari.

Buone notizie per i cittadini dei Paesi dell’Europa orientale - come Ungheria, Lettonia e Polonia - per i quali si attende una crescita dei salari rispettivamente del 4,9%, del 4,1% e del 3,8%.

In questa classifica invece l’Italia si trova nella penultima posizione, precedendo appunto il solo Regno Unito. Inoltre l’Italia, insieme all’UK e alla Spagna, fa parte di quei Paesi per i quali è previsto un calo degli stipendi nel 2018.

Perché il salario reale italiano è in calo

E pensare che nel 2018 in Italia entrerà in vigore il nuovo contratto del pubblico impiego che prevede un aumento di stipendio (85 euro medi e lordi, ndr.) per tutti gli statali. A quanto pare però l’aumento previsto non sarà sufficiente per far fronte all’inflazione: i prezzi dei beni e dei servizi infatti cresceranno più degli stipendi dei lavoratori con la conseguente decrescita del salario reale.

Tuttavia secondo Luigi Marattin, consigliere economico del Presidente del Consiglio, il motivo per cui il salario reale in Italia continua ad essere tra i più bassi nel mondo è legato ad un altro fattore.

Intervenendo a Lavoce.info, infatti, questo ha confermato che dal 1996 ad oggi il salario medio in Italia è salito del solo 6,3%, una crescita piuttosto lenta che come si nota dall’infografica subirà una brusca frenata nel 2018.

Il motivo però non è da attribuire alla partecipazione all’Unione monetaria, né all’incidenza fiscale e contributiva: secondo lui il problema è lo stretto legame che c’è tra salari medi e produttività del lavoro (ossia la quantità di cose che vengono prodotte in un Paese in un anno in rapporto al numero di ore) con quest’ultima che dal 1996 è cresciuta di appena il 5,8%. Secondo molte delle teorie economiche d’altronde la produttività del lavoro assume un ruolo fondamentale nella crescita del salario reale.

A questo punto viene da chiederci perché la produttività del lavoro non accenna a crescere nel nostro Paese. La risposta a questa domanda arriva da Nicola Borri, economista dell’Università Luiss di Roma, che nel 2016 ha affrontato la questione in un’intervista per l’Ansa.

Secondo Borri potrebbero essere due le motivazioni che rallentano la produttività italiana: l’arretratezza delle tecnologia e una specializzazione del nostro Paese in settori - come ad esempio la moda e il turismo - che risultano essere meno trainanti di altri più tradizionali, come la meccanica. La soluzione quindi potrebbe essere proprio questa: incrementare gli investimenti nel settore meccanico, o anche chimico e manifatturiero, dove gli effetti della tecnologia sono più evidenti.

Parallelamente è necessario migliorare la qualità della forza lavoro; ma come? Per Borri si deve partire dalla formazione universitaria, visto che tra i Paesi OCSE l’Italia è quello con la percentuale più bassa di laureati nella fascia d’età 25-64 anni.

Un avviso per il nuovo Governo, da chiunque sia formato, che avrà il duro compito di trovare una soluzione a questo problema riportando i salari medi ai livelli pre-crisi del 2008.

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