Domenica 12 giugno gli italiani erano chiamati a esprimersi sui cinque referendum sulla giustizia voluti da Matteo Salvini e dai Radicali: ecco quale è stata la spesa da parte dello Stato.
Qual è il costo dei referendum? Questa è la domanda che molti italiani si stanno ponendo dopo l’election day di domenica 12 giugno quando, oltre che per i cinque quesiti tutti inerenti al tema della giustizia, le urne si sono aperte anche per il primo turno delle elezioni amministrative 2022.
Una domanda che vale ancora di più ora che i referendum sulla giustizia hanno visto il mancato raggiungimento del quorum, con un’affluenza finale che si aggira attorno al 20%. I cinque referendum sono stati richiesti dopo il voto favorevole di nove consigli regionali tutti di centrodestra: Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Umbria e Veneto.
Autentico deus ex machina di questi referendum è Matteo Salvini, che per l’occasione ha stretto una inedita sinergia con i Radicali. Nonostante mesi di gazebo in tutta Italia per raccogliere le 500.000 firme necessarie, alla fine la Lega ha deciso di avanzare la proposta referendaria tramite i consigli regionali.
Di conseguenza i questi sulla giustizia non sono referendum d’iniziativa popolare: anche se i promotori hanno dichiarato che la soglia delle 500.000 firme fosse stata raggiunta, al momento non è dato sapere quanti cittadini abbiano realmente sottoscritto i quesiti.
I costi per il referendum
Per capire quale possa essere il costo dei cinque referendum sulla giustizia voluti da Matteo Salvini, si può fare riferimento a quanto ha speso complessivamente lo Stato negli scorsi anni in circostanze analoghe.
Nonostante la pandemia sia ancora in corso, il Consiglio dei ministri ha optato per non ripetere la doppia data di voto come avvenuto per gli election day che ci sono stati nel 2020 e nel 2021. Una scelta che di certo porterà a un contenimento dei costi.
In generale una unica giornata di votazioni in tutto il territorio nazionale dovrebbe costare circa 400 milioni, di cui oltre 300 milioni a carico del solo del ministero dell’Interno e il resto diviso tra il dicastero della Giustizia e quello dell’Economia.
Le spese necessarie coprono diverse voci: dall’allestimento dei seggi elettorali al pagamento degli scrutatori e degli straordinari per le forze dell’ordine e il personale amministrativo, fino a tutti i vari costi per i materiali e per l’apparato informatico.
C’è da dire che in 978 Comuni, a prescindere dal referendum, domenica 12 giugno i seggi si sarebbero comunque aperti per il primo turno delle elezioni amministrative, che interesseranno circa 9 milioni di elettori su una platea totale di oltre 50 milioni di aventi diritto al voto in Italia.
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