Le Università italiane soffrono, alcuni problemi sono interni, altri sono dovuti a fenomeni esteri e più grandi (calo demografico). Ecco quali università rischiano di chiudere e i motivi.
Anche le Università rischiano di chiudere e non è colpa del Covid-19, per una volta. Il principale sospettato è il calo demografico, ma sono un insieme di fattori che mettono a rischio la tenuta del sistema formativo universitario in Italia. Tra cui, inevitabilmente italiana, la gestione non innovativa e non rivolta al futuro.
Tra le soluzioni quindi non c’è solo lo scontato “fare più figli”, che aiuterebbe in numeri, ma non corrisponderebbe direttamente al numero di iscritti universitari; no, per aiutare le università italiane esistono vari rimedi, tutti descritti dallo studio di Massimo Armenise e Federico Benassi.
Ma quali sono le realtà che rischiano di sparire? Dai dati che emergono dallo studio, le Università italiane più grandi e di prestigio, come quelle di Roma, Milano e Bologna non rischiano di chiudere - diversamente da Napoli - sono le università più piccole e locali che potrebbero non esistere più da qui a trent’anni.
Le Università più a rischio: la classifica
Non è una vera e propria classifica. Lo studio che si è proposto di analizzare quali saranno le università a rischio chiusura, ha preso i dati relativi al calo delle nascite e quelli relativi alle iscrizioni locali delle università stesse per stilare una percentuale del calo di iscrizioni.
Nessun dato è certo e si è ancora in tempo per invertire la rotta. Serve, anche se è più facile a dirsi che a farsi, rivoluzionare l’Università. Ripensarla in base a un inevitabile calo delle iscrizioni locali e in una prospettiva europea e mediterranea.
Ecco quindi la “classifica” indicativa delle università a rischio chiusura, dalla più a rischio alla meno a rischio. Le posizioni qui sotto sono da intendersi sopra il -10% di calo di iscrizioni.
- Sannio
- Foggia
- Casamassima - LUM
- Salento
- Salerno
- Bari Politecnico
- Bari
- Napoli II
- Basilicata
- Roma UNINT
- Cagliari
- Napoli Benincasa
- Napoli L’Orientale
- Messina
- Molise
- Enna - KORE
- Napoli Parthenope
- Sassari
- Napoli Federico II
- Perugia Stranieri
- Roma Biomedico
- Catania
- Roma Europea
- Reggio Calabria
- L’Aquila
- Roma Foro Italico
- Macerata
- Chieti e Pescara
- Roma LUMSA
- Marche
- Teramo
- Calabria
- Castellanza LIUC
- Aosta
- Milano San Raffaele
- Roma LUISS
- Torino Politecnico
Un dato risalta maggiormente: a rischio sono le realtà locali e del Sud.
Recessione demografica universitaria: poche nascite, pochi studenti
Abbiamo già detto che il calo demografico è solo uno dei dati da prendere in considerazione, così com’è solo uno dei rimedi possibili. Ma quando parliamo di calo demografico, quale ordine di grandezza dobbiamo immaginare?
Secondo l’Istat, solo nel 2020, la popolazione italiana è diminuita di oltre 400 mila persone. Un trend che, se dovesse continuare su queste proporzioni, porterebbe la popolazione italiana a diminuire di circa -12 milioni di individui entro il 2070. In pratica, nel 2050 la popolazione in età lavorativa scenderà dal 63,8% al 53,3%. Il numero di giovani tra i 19 e i 25 anni è destinato a decrescere e così anche gli iscritti alle università.
Massimo Armenise e Federico Benassi hanno simulato il calo di iscritti alle università italiane a partire dai dati demografici. Secondo lo studio condotto dai due ricercatori, le università perderanno il 20% degli iscritti entro il 2041. “Al punto da mettere a rischio la stessa sussistenza di alcune università. Con gravi conseguenze in termini di disparità territoriali, di aumento delle future disuguaglianze e, quindi, di indebolimento della coesione territoriale” spiega Benassi.
Non solo calo demografico, la colpa è del sistema formativo italiano
Non basta far nascere più bambini per risolvere il problema, infatti il numero di nascite non corrisponde direttamente alle iscrizioni universitarie. Certo, tamponerebbe il fenomeno, ma è il sistema formativo italiano che annaspa nella rischi.
I problemi delle università iniziano a monte, dalle politiche che non hanno pensato al futuro e non hanno favorito il sistema dell’istruzione. Nel dettaglio si può parlare di scarsa capacità di attrarre studenti stranieri, di un sistema universitario frammentato in realtà locali, senza contare gli ostacoli all’ingresso e durante il percorso di studi per alcuni studenti senza privilegi.
Secondo i due ricercatori bisognerebbe ripensare gli atenei e le proposte formative. Una vera rivoluzione. Per esempio:
- attrarre studenti stranieri da Paesi del Mediterraneo, come Turchia, Egitto, Nigeria;
- riorganizzare gli atenei frammentati al Sud, aggregandoli;
- fornire corsi post laurea di professionalizzazione.
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