La Corte di Cassazione ha negato ad una dipendente il risarcimento dell’infortunio sul lavoro per folgorazione, per mancanza di un inadempimento qualificato del datore di lavoro.
La Corte di Cassazione ha negato il risarcimento danni ad una dipendente per una folgorazione avvenuta sul luogo di lavoro. La pretesa della ricorrente era già stata respinta in primo grado ed in Corte d’Appello, e gli ermellini hanno aderito alla precedente decisione.
La lavoratrice, inoltre, nel corso del giudizio aveva mutato il tipo di responsabilità addotta al datore di lavoro, da responsabilità contrattuale ex 2087 del Codice Civile (sulla tutela delle condizioni di lavoro) ad una responsabilità di tipo extracontrattuale ex 2043 del Codice Civile, provocando l’alterazione dell’oggetto e dei termini della pretesa.
La ragione del rigetto è la mancanza di un inadempimento qualificato da parte del datore di lavoro, ovvero un comportamento astrattamente idoneo a provocare il danno e contrario ad una specifica norma o misura di sicurezza imposta al datore di lavoro.
Il caso di specie
La Cassazione Civile, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 32714 del 18 dicembre 2018, si è espressa in merito al risarcimento degli infortuni sul luogo di lavoro. In particolare, il caso di specie trattava di una folgorazione avvenuta in azienda, per la quale una dipendente chiedeva che gli fosse riconosciuto il diritto ad ottenere il risarcimento dei danni.
La questione era già stata posta innanzi ad un tribunale di Napoli, il quale aveva respinto la richiesta della donna, ed in seguito alla Corte d’Appello, che aveva confermato la decisione del giudice di primo grado. Ma la donna, assunta dall’azienda da circa 2 mesi, ha insistito nella sua pretesa, portando la causa al vaglio della Corte di Cassazione.
Gli ermellini, tuttavia, hanno confermato quanto già deciso in primo grado e in Appello, negando il risarcimento dell’infortunio sul lavoro.
La questione è stata analizzata dal punto di visto del tipo di responsabilità della società presso la quale la dipendente è assunta: quest’ultima aveva invocato la responsabilità della società riguardo all’inadempimento degli obblighi contrattuali di sicurezza dei lavoratori nei, cioè una responsabilità di tipo contrattuale ex articolo 2087 del Codice Civile, che recita:
“L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.”
Tuttavia, nel corso della causa, la dipendente aveva mutato l’oggetto della contesa cambiando la la natura della richiesta: da una responsabilità di tipo contrattuale del datore di lavoro ad una di tipo extracontrattuale - ex articolo 2043 - senza però fornire gli elementi di fatto e di diritto idonei.
La Corte distrettuale, quindi, ha respinto la pretesa, ritenendo che la ricorrente avesse esercitato un’azione di tipo contrattuale (a seguito di una valutazione degli elementi materiali degli illeciti) e ritenendo irrilevante lo spostamento verso una responsabilità extracontrattuale.
La ratio decidendi
La Corte di Cassazione, nel caso di specie, ha confermato la decisione della Corte d’Appello, respingendo la pretesa di risarcimento per danno da folgorazione sul luogo di lavoro.
Infatti, secondo un orientamento ormai consolidato, il lavoratore dipendente che agisce contro il proprio datore deve fornire una descrizione dei fatti conforme al sistema dell’articolo 2087 del Codice Civile: dunque, dalla descrizione del fatto materiale si deve evincere che la condotta del datore di lavoro era contraria alle misure di sicurezza espressamente imposte da una determinata legge o da specifici regolamenti.
Da questa premessa consegue che, il lavoratore che chiede in giudizio il risarcimento danni per infortunio sul lavoro, non può attenersi ad un inadempimento qualsiasi del datore di lavoro, ma, al contrario, deve subordinare la richiesta ad un inadempimento qualificato, ovvero astrattamente idoneo a produrre il danno.
Invece la ricorrente, avendo trasformato in giudizio la responsabilità contrattuale in una responsabilità extracontrattuale, ha introdotto nel processo un nuovo argomento d’indagine, il quale ha alterato completamente sia l’oggetto che i termini della controversia.
Per tali ragioni, anche la Corte di Cassazione ha respinto la pretesa della ricorrente. La donna è stata condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità (pari a 200 euro per esborsi e 4.000 euro per i compensi professionali), oltre al rimborso del 15% delle spese generali e accessorie.
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