Novembre è iniziato in chiaroscuro per il principale indice di Wall Street dopo i grandi guadagni di ottobre. Cosa aspettarsi se la FED alzerà i tassi?
La settimana che si sta per concludere ha visto ottimi rialzi nelle borse asiatiche, cosa che non sembra possa accadere anche nei mercati azionari USA, in particolar modo nel listino principale, lo S&P 500.
La giornata di oggi sembra più che mai critica, dopo che i dati sui Non farm payrolls, tasso di disoccupazione e salari statunitensi hanno superato di gran lunga le aspettative degli analisti, aumentando l’aspettativa per un rialzo dei tassi Fed a dicembre,
I rialzi sui listini azionari americani sono infatti nell’ordine dell’1% da inizio mese su risultati trimestrali societari non proprio esaltanti (titoli tecnologici esclusi). Potrebbe essere stato l’effetto di prese di profitto dopo la conclusione del mese di ottobre, ma probabilmente ci sono altre ragioni.
S&P500 in fase laterale: rialzo dei tassi all’orizzonte?
Il pensiero degli esperti di mercato è che gli asset investiti da parte degli istituzionali in azioni USA si stiano riducendo a causa dei modesti risultati societari mostrati dalle trimestrali di questi giorni.
Jeffrey Gundlach, famoso gestore di fondi statunitense a capo di Doubleline Capital, pensa che la fase attendista del mercato azionario USA sia dovuta alla possibilità che la FED rialzi i tassi di riferimento a dicembre (probabilità stimata oltre il 70% dopo i NFP oltre le aspettative).
Ecco quanto affermava da Gundlach prima della pubblicazione dei dati sull’occupazione USA:
La FED non dovrebbe alzare i tassi nel mese di dicembre. Non ha senso aumentare ora i tassi quando le condizioni del mercato del lavoro sono evidentemente peggiori rispetto al 2012, quando la FED si decise ad effettuare il terzo allentamento quantitativo in pochi anni.
Lo S&P 500 è l’indice più a rischio perché le società presentano utili limitati.
Altro segmento che verrebbe pesantemente colpito secondo Gundlach sarebbe quello dei bond, che accuserebbero il rialzo dei tassi sia dal punto di vista del tasso d’interesse nominale in senso stretto che dal punto di vista del rialzo del dollaro.
Il prezzo delle obbligazioni in circolazione diminuirebbe fortemente in caso di stretta monetaria da parte della Banca Centrale USA.
© RIPRODUZIONE RISERVATA