Salario minimo europeo: chi sono i Paesi contrari e perché

Riccardo Lozzi

7 Dicembre 2021 - 14:41

Il Consiglio UE ha approvato l’inizio dei negoziati per l’introduzione del salario minimo europeo: Danimarca e Ungheria hanno votato contro. Ecco quali sono i motivi.

Salario minimo europeo: chi sono i Paesi contrari e perché

Nel Consiglio UE dello scorso 6 dicembre, in cui si sono riuniti i ministri del Lavoro e delle Politiche sociali degli Stati membri, è stato approvato ufficialmente l’inizio dell’iter che dovrebbe portare all’introduzione del salario minimo europeo.

Al momento si tratta solamente di una fase preliminare, attraverso cui è stata data l’autorizzazione a procedere con i negoziati. Inoltre, non viene stabilita una cifra minima che ogni Paese europeo è tenuto a rispettare, quanto piuttosto un meccanismo comunitario che permetta di non scendere sotto quelli che sono stati definiti «standard dignitosi di vita

Per i fautori della direttiva, questa dovrebbe garantire a 25 milioni di lavoratori condizioni più eque, portando a un aumento della busta paga per i cittadini in oltre la metà degli Stati membri.

Nell’ambito del Consiglio UE non tutti hanno votato a favore della proposta:Austria e Germania si sono astenute, anche se Berlino ha dichiarato di sostenere il testo e giustificando il non appoggio con il cambio di Governo; Danimarca e Ungheria, invece, hanno espresso la loro opposizione, dichiarandosi entrambi convintamente contrari al salario minimo europeo, seppur con ragioni diametralmente differenti.

Salario minimo europeo: le motivazioni dei contrari

Appare certamente sorprendente vedere due nazioni così diverse come la Danimarca e l’Ungheria essere d’accordo su una legge in materia di lavoro.

Nonostante le differenze sostanziali, tuttavia, è possibile ritrovare un punto di fondo comune: entrambi vogliono mantenere la piena sovranità nella materia del lavoro.

La Danimarca non ha mai attuato neanche a livello nazionale lo schema del salario minimo, lasciando la contrattazione collettiva in mano ai sindacati e alle aziende, senza l’intervento del Governo. Un sistema ben consolidato e che l’esecutivo non ha intenzione di stravolgere.

Anche negli altri Paesi scandinavi, tra cui la Svezia, che solo all’ultimo ha deciso di esprimere il proprio voto favorevole, si ha questo modello, così come in Austria che infatti non appare particolarmente propensa. Mentre Italia e Cipro, pur non avendo neanche loro finora fissato una soglia minima nazionale di retribuzione per i lavoratori, sono convinti di portare avanti la proposta europea.

L’Ungheria ha il problema opposto per poter accettare di buon grado un disegno europeo sulla questione lavoro e salari. Il Governo guidato da Orban attua infatti quello che viene definito dumping salariale e fiscale per attirare le grandi società internazionali all’interno dei confini ungheresi.

Le multinazionali possono contare quindi sulle imposte più basse d’Europa, con aliquota pari al 9%, e, al tempo stesso, un costo minimo per quanto riguarda la manodopera. L’adozione di un meccanismo comune per il salario minimo europeo provocherebbe una perdita di competitività di Budapest per gli investimenti internazionali.

Ancora una volta l’Unione Europea rischia quindi di bloccarsi a causa dei veti incrociati dei propri Stati membri, in questo caso Danimarca e Ungheria.

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