Salvini: un leader senza leadership

Claudia Mustillo

24/09/2021

Cosa sta succedendo all’interno della Lega e perché Salvini sembra sempre più un leader che ha perso il suo posto di «capo»?

Salvini: un leader senza leadership

Vi ricorderete sicuramente quel che è successo dieci anni fa tra Berlusconi e Fini. Un’incompatibilità, si dice, più personale che politica che ha portato al famoso “che fai, mi cacci?”di Gianfranco Fini e a un addio davanti alla platea della direzione del Pdl.

Un conflitto, quello tra Fini e Berlusconi, che è andato avanti a lungo al punto che molti pensarono fosse una strategia politica per riuscire a tenere all’interno dello stesso partito posizioni di Governo e di opposizione. Un rischio, quello del conflitto personale e politico insito in ogni partito, ma in modo particolare nei partiti personali.

Una leadership forte come quella di un partito personale, ossia costruito intorno al leader, si scontra sempre con la possibilità che vi siano personalità più o meno emergenti all’interno del partito stesso. In questi giorni si fa avanti l’ipotesi di una possibile scissione interna alla Lega. I motivi che hanno portato molti analisti e giornalisti a parlare di questa nuova possibilità sono tanti, tra questi l’ultimo addio di Francesca Donato.

Non bisogna dimenticare che prima di Matteo Salvini la Lega (Nord) era un partito regionale e per giunta in piena crisi interna. Quando Salvini ha preso le redini di quel che rimaneva della Lega Nord di Bossi ha creato a tutti gli effetti un partito personale, fortemente incentrato e legato alla sua leadership e alla sua comunicazione semplice.

La strategia, utile per uscire dall’impasse in cui si trovava il partito nel 2012, è stata quella di puntare tutto sul leader per far dimenticare agli elettori i vecchi slogan sul Sud ma anche gli innumerevoli scandali che avevano visto protagonista la Lega. Matteo Salvini era, ed è, il simbolo di una nuova Lega: un partito nazionale, giovane che porta avanti le istanze del popolo.

Veniamo dunque a ciò che sta accadendo oggi all’interno del partito di Matteo Salvini. La situazione per quanto evidente e comprensibile rimane complessa; sono molteplici i fattori che hanno portato a questo conflitto interno. Sicuramente la pandemia non ha aiutato un leader, come Salvini, che ha costruito la sua comunicazione politica e quindi la sua politica sull’individuazione di nemici esterni contro cui unirsi e allearsi; si tratta di una dialettica manichea e semplicistica che però ha come risultato quello di creare un gruppo di “fedeli” che si riconoscono nel leader e nelle sue soluzioni. Un esempio di questo stile è l’immigrazione, raccontata dal Capitano come un «noi» contrapposto a un «loro».

Durante la pandemia sono crollati tutti i punti fermi della politica leghista e, strano ma vero, Salvini è rimasto quasi senza parole da dire. Ha provato a utilizzare soluzioni semplici a problemi complessi, sempre condite con slogan come “Prima gli Italiani” o “Rimandamoli a casa loro”, ma in una situazione di crisi, non c’era spazio per una comunicazione come quella di Matteo Salvini.

Oggi la Lega è una forza di governo, una scelta fatta “per il bene degli italiani” ma che poco si addice a chi deve essere il megafono delle insoddisfazioni e delle problematiche del popolo. È proprio per questo che il Green Pass obbligatorio, situazione a dir poco spinosa, ha aperto il conflitto interno alla Lega, rendendo Salvini un leader senza leadership del suo stesso partito.

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