Tra i paesi NATO l’Italia è forse il più prudente sul possibile «fronte» ucraino. Le cause sono diverse, tutte di natura economico-politica.
Da settimane ormai il tema delle tensioni in Ucraina, stato assediato al confine da una Russia che finge di star disponendo delle semplici esercitazioni militari e non una possibile invasione offensiva ai danni dell’ex paese del blocco sovietico, passa sotto traccia.
I media nostrani hanno preferito concentrarsi sulle elezioni al Colle e si registra poca copertura rispetto alle sorti di questo possibile scontro internazionale che vede, dal lato della popolazione ucraina, il forte sostegno nonché l’ombra del piglio interventista degli Stati Uniti.
Per quanto si tratti di una faccenda europea e, prima di tutto, fortemente vicina agli interessi NATO (l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord di cui fa parte anche l’Italia), si predilige una linea di minimo coinvolgimento.
Schierarsi in maniera aperta scontenterebbe entrambe le parti e per salvare gli interessi economici da un lato e i rapporti diplomatici dall’altro si imbocca la strada dell’inconsistenza. I motivi per i quali l’Italia non lancia un segnale forte a Putin possono però essere ricostruiti nel dettaglio per indagare meglio cosa ci sia veramente sul piatto di un simile impasse.
Questione di vecchie e nuove intese politiche
Le onorificenze «sospette» agli oligarchi russi sono il primo punto di contatto, un valido modo di leggere il silenzio attuale.
Come riporta Linkiesta, il 15 gennaio 2022 è stato pubblicato un decreto del Presidente della Repubblica con cui «su proposta del ministro degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale è conferita l’onorificenza Commendatore dell’Ordine della Stella d’Italia a «Evtukhov dott. Viktor Leonidovich» e a «Kostin dott. Andrey Leonidovich».
A tali nomi corrispondono il sottosegretario di Stato al Ministero dell’Industria e Commercio Estero della Federazione russa e un banchiere e oligarca accusato di corruzione da Alexei Navalny.
Il 28 maggio 2020, sempre su proposta del capo della Farnesina, anche il primo ministro russo Mikhail Mishustin e il ministro dell’Industria e Commercio Estero Denis Manturov avevano ricevuto simili onorificenze, modo per rinsaldare il patto diplomatico tra i due governi.
Il problema però è che in pochi l’hanno notato e ancor meno è stata l’indignazione per una mossa tanto discutibile. L’Italia tuttavia ha con la Russia una lunga storia di sostegni che non è sempre stata così «evanescente»; da lungo tempo il governo mantiene dei buoni rapporti con Putin, ben al di là delle semplici mosse diplomatiche o dalle intese ideologiche di leader come Salvini e Meloni.
Politico ad esempio ricorda che durante la crisi in Crimea del 2014–2015 l’Italia «fu in prima fila nello sforzo diplomatico per evitare dure sanzioni alla Russia».
Al centro di tutto c’è il gas
Questa facciata diplomatica cela accordi specifici. Il nostro Paese, così come la Germania con il gasdotto Nord Stream 2, ha in ballo interessi commerciali non indifferenti con la Russia.
Il rischio di rimanere al freddo è concreto ed è dovuto anche alla forte dipendenza dell’Europa da questo combustibile, esportato proprio dal Cremlino. Persino Salvini ha ricordato il rischio che Putin potrebbe chiudere «i rubinetti del gas» e lasciare il Paese «al buio da domani». I rincari delle bollette ormai tristemente noti nascono qui.
Il peso del governo negli accordi commerciali dei grandi privati poi è altrettanto inconsistente. I CEO delle più grandi multinazionali italiane avevano in programma da novembre una videocall con Putin in persona per rinsaldare simbolicamente le partnership già attive. Nonostante le richieste del Governo, «non è stato possibile» annullare l’incontro casualmente fissato in un periodo tanto critico. Si sono sfilate solo ENI e SNAM perché compartecipate dallo Stato. Al netto di tutto però non è stata la loro assenza a lanciare un segnale; di segnali sotto questo frangente forse non ne verrà lanciato nessuno.
Draghi ha altri obiettivi
La figura del PdC è centrale in questo caso. Nonostante la matrice “atlantista” del governo di Mario Draghi, l’Italia rimarrà comunque un paese moderato e pronto al dialogo.
Il governo tecnico che oggi vige nel nostro paese ha una sola priorità: la tutela economica statale.
La via della diplomazia quindi, con estrema probabilità, prevarrà anche sulle spinte di Biden che, nell’ultima videoconferenza con i paesi più importanti del sistema NATO, ha chiamato in causa i leader meno coinvolti (tra cui anche il cancelliere tedesco) chiedendo appoggio e sostegno in nome dei patti stipulati.
La risposta, per rimarcare la vicinanza senza non esporsi più del dovuto rischiando di irritare la controparte, è stata un generico ribadire l’accordo con gli alleati. Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini su Repubblica:
«l’Italia partecipa nell’ambito di dispositivi di operazioni e missioni già autorizzate dal Parlamento; farà la propria parte.»
A tutto questo poi si aggiunge un non nuovo disinteresse per le questioni estere del governo Draghi che, sempre in nome della centralità delle questioni economiche interne, ha lasciato pressoché correre i dossier mediorientali.
Tutto questo però, ricordiamolo, mentre la risposta degli alleati è tutt’altro che morbida.
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