Il 12 di quel mese, un simposio ad hoc di Commissione Ue e OMS. Il 19 l’ordine esecutivo di Trump contro le pandemie. I bio-lab in cui si gioca a fare Dio erano noti a tutti e tutti si preparavano?
Nessuno poteva prevedere una cosa simile. Un mantra. Dall’inizio della pandemia, ormai due anni fa, ogni errore di valutazione di comunità scientifica e classe politica è stato giustificato con l’argomentazione del carattere di unicum senza precedenti rappresentato dal Covid.
Innegabile. Però, qualcosa stona. Per una strana conventio ad excludendum implicita, la quale fino ad oggi ha visto la narrativa ufficiale deviare dal sentiero meramente scientifico e virologico solo per un’eccezione: la pista cinese. Ovvero, la possibilità che il virus sia frutto di un esperimento sfuggito di mano, in maniera più o meno dolosa, dal bio-laboratorio di Wuhan, arrivando poi al mercato del pesce e da lì innescando lo spill-over globale di cui ancora oggi siamo ostaggio.
Intere puntate di talk-show, inchieste più o meno credibili di giornali, tonnellate di volumi-rivelazione che adornano gli scaffali delle librerie, annunciando lo scoop del secolo. Evidenze concrete, la proverbiale pistola fumante? Nessuna. Sospetti in quantità industriale ma nessun riscontro che inchiodi il governo cinese alle sue responsabilità. In compenso, si è ben poco discusso e ancor meno elucubrato su un fatto: nel settembre del 2019, tre mesi prima dell’esplosione ufficiale di quella che diverrà pandemia, sia l’Unione Europea che la Casa Bianca mostrarono una febbrile attività di dibattito operativo sulla questione vaccini.
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E, nel caso dell’ordine esecutivo del presidente Trump numero 13887, addirittura dell’ineluttabile processo di mutazione della normale influenza verso forme più aggressive e pericolose di virus. Il 12 settembre del 2019, a Bruxelles la Commissione Europea - allora ancora presieduta da Jean-Claude Juncker - patrocinò un summit in collaborazione con l’OMS dal titolo evocativo: Global Vaccination Summit. Attenzione, non un appuntamento rituale in cui le autorità facevano il punto su un ambito fondamentale della prevenzione sanitaria globale, bensì la prima edizione di un simposio simile. Organizzato nella forma della tavola rotonda, il summit era diviso in tre aree di discussione con titoli decisamente accattivanti: In Vaccines we trust - Stepping up action to increase vaccine confidence; The Magic of Science - Boosting vaccine Research, Development, and Innovation; Vaccines Protecting Everyone, Everywhere - Galvanizing a global response to assure health, security and prosperity through immunization.
Perché fare il punto sui vaccini ancor prima di Wuhan?
A discutere di queste tematiche, divenute poi nei mesi a seguire le parole d’ordine della risposta ufficiale alla pandemia e della narrativa mediatica, erano presenti nella capitale belga oltre 400 rappresentanti fra leader politici, alti rappresentanti di ONU e altri organismi sovranazionali, ministri della Sanità, accademici di chiara fama, scienziati e medici con profilo internazionale, settore sanitario privato e Ong. Insomma, uno di quei simposi che richiede tempo e sforzo per essere organizzato. E, magari, una ragione contingente. E urgente.
Ma ecco che esattamente una settimana dopo, il 19 settembre 2019, l’allora presidente Donald Trump emanava l’ordine esecutivo 13887, il cui titolo apparve all’epoca di mera routine sanitaria, frutto del lavoro burocratico dell’ufficio legislativo di Pennsylvania Avenue su indicazione di ministero della Sanità e CDC: Modernizing Influenza Vaccines in the United States to Promote National Security and Public Health. Letto oggi, l’effetto appare differente. Pubblicato sul Federal Register, la Gazzetta Ufficiale statunitense, in data 24 settembre, l’atto presidenziale sanciva di fatto la creazione di una National Influenza Vaccine Task Force, al fine di contrastare un’influenza pandemica che a differenza di quella stagionale ha il potenziale per diffondersi rapidamente in tutto il mondo, infettare un altissimo numero di persone e causare alti tassi di malattia e decessi in popolazioni che manchino di immunità preventiva.
Giova ripeterlo: era il 19 settembre 2019. Il primo caso di Covid ufficialmente denunciato a Wuhan risale al 1 dicembre di quell’anno, mentre in Italia occorrerà attendere il 20 febbraio del 2020 per prendere atto dell’annuncio dell’ospedale di Codogno rispetto al paziente zero. E come nel caso del simposio europeo, anche l’executive order della Casa Bianca premeva moltissimo sul tasto vaccinale. La parte principale e sostanziale nella sua operatività di intervento era infatti quella che riconosceva una matrice di vetustà al processo di elaborazione dei vaccini attraverso l’incubazione nelle uova, marchiando questo processo vecchio di 70 anni con la lettera scarlatta del rischio di creazione di mutazioni del virus che possano rendere meno efficace il vaccino, oltre a richiedere tempistiche che poco si conciliano con la velocità di diffusione delle nuove influenze e a prospettare seri rischi di scarsità nelle forniture di massa.
Il capoverso G nelle sue tre aree di intervento appare chiaro: A 5-year national plan (Plan) to promote the use of more agile and scalable vaccine manufacturing technologies and to accelerate development of vaccines that protect against many or all influenza viruses; recommendations for encouraging non-profit, academic, and private-sector influenza vaccine innovation; and recommendations for increasing influenza vaccination among the populations recommended by the CDC and for improving public understanding of influenza risk and informed influenza vaccine decision-making. Perché il 19 settembre, quando ancora la parola Covid non esisteva nel lessico della paura globale, la Casa Bianca sentì la necessità di lanciare un piano quinquennale di contrasto alle nuove forme di influenza basato su una ristrutturazione drastica del settore dei vaccini, rinnovandone totalmente approccio e produzione?
Il tutto dopo che l’Unione Europea non aveva saputo reprimere l’esigenza di trattare il tema in tandem con l’OMS in un simposio con pochi precedenti per partecipazione e autorevolezza del parterre. Il resto, è storia. Nota. E drammatica. Il 18 ottobre 2019, quando ancora Wuhan erano località nota solo ai cinesi, a New York si tenne Event 201, esercitazione strategica coordinata di pronta risposta a una pandemia globale di natura zootica organizzata dal Johns Hopkins Biosecurity Center e dalla Bill and Melinda Gates Foundation. Poi, a ottobre, i Giochi Militari a Wuhan, le Olimpiadi degli eserciti che videro sbarcare nella città cinese - poi epicentro della pandemia - centinaia di atleti con le stellette da tutto il mondo. Solo a maggio del 2020, in pieno caos da contagio globale, i media raccontarono di un numero esorbitante di casi di grave influenza fra sportivi e accompagnatori, al tempo ovviamente ricondotti a una normale forma virale di stagione, solo più aggressiva del solito.
L’annuncio di Donald Trump di un investimento pubblico iniziale da 2,5 miliardi di dollari per sviluppare un vaccino contro il Covid fu del 26 febbraio 2020, mentre il programma Warp Speed che inondò di finanziamenti (oltre 10 miliardi di dollari, cui nel caso di Pfizer subentrò un pre-ordine di dosi da 2 miliardi di dollari) le case farmaceutiche fu lanciato a maggio e affidato a Moncef Slaoui, 30 anni di esperienza alla GlaxoSmithKline, ruolo che lo vide protagonista nella nascita dei sieri contro Ebola e malaria. Nell’autunno dello scorso anno, lo sbarco sul mercato a tempo di record dei sieri. La giustificazione per quei trials così rapidi e quelle approvazioni-lampo da parte delle autorità di vigilanza e controllo dei farmaci fu lo stato di emergenza assoluto creato da una pandemia senza precedenti. E che nessuno avrebbe potuto prevedere.
Eppure, il settembre del 2019 fu prolifico mese di svolta per il mercato vaccinale. E, almeno negli USA, con un obiettivo mirato e non generico: le nuove influenze di natura pandemica. Possibile che nessuna casa farmaceutica avesse cominciato al volo la ricerca e sperimentazione, stante un ordine esecutivo del Presidente in tal senso e la creazione di un task-force ad hoc? Ovviamente, tutto si basò meramente su un’intuizione rivelatasi poi geniale. E salvifica. Tanto che l’OMS, poi terminata più volte nella bufera per la sua gestione del caso Covid (a partire dal ritardo nell’ufficializzazione della sua natura pandemica), il 2 e 3 dicembre del 2019 - all’indomani dell’esplosione ufficiale del caso Wuhan - tenne nel suo quartier generale di Ginevra una due giorni di dibattito intitolata Global Vaccine Safety Summit. Difficile poterla organizzare in 24 ore, come risposta alla notizia appena giunta dalla Cina.
Insomma, nei tre mesi precedenti all’esplosione della pandemia che nessuno poteva prevedere, pressoché tutti avevano previsto la necessità di investire pesantemente sui vaccini. E con un obiettivo sanitario chiaro. Uniamo al quadro il fatto che a capo della struttura sanitaria di contrasto alla pandemia, gli USA abbiano messo il professor Anthony Fauci, del quale lo scorso ottobre si è scoperto lo spergiuro rispetto ai finanziamenti proprio verso il bio-laboratorio di Wuhan attraverso una Ong newyorchese, la EcoHealth Alliance, protagonista di ricerche cosiddette gain-of-function, lanciate sotto la presidenza di Barack Obama e una domanda sorge spontanea.
Al netto di interi scaffali di libri sulle responsabilità di Pechino, quantomeno nell’aver taciuto la gravità della situazione, perché un imbarazzante silenzio sulla straordinaria contemporaneità, quasi una telepatia sanitaria e soprattutto farmaceutica, di autorità USA e Ue nel cogliere con tre mesi di anticipo la natura del pericolo in arrivo? La morale di questa storia? Più che altro, una ricostruzione alternativa e poco edificante di un susseguirsi di fatti. E coincidenze. Che nel mondo operino decine di bio-lab stile Wuhan, in cui a volte si gioca pericolosamente a fare Dio in nome del progresso scientifico e militare, oltre che del profitto farmaceutico, è il segreto di Pulcinella. Quantomeno per governi, intelligence, fonte armate, organismi sovranazionali e aziende del settore.
Con ogni probabilità, quindi, sia Ue che USA che OMS avevano capito o avuto informazioni sul fatto che Wuhan si stava davvero andando over-the-top. O forse, si era già varcato il limite. Quindi, ecco spiegato l’attivismo nello spingere in quel modo sui vaccini e sulla lotta alle pandemie. La potenziale e probabile responsabilità di Pechino, di fatto motore dell’intero disastro? Aver taciuto o comunicato troppo tardi la reale portata e gravità dell’accaduto. Altrimenti, perché nessuno ha raccontato del potenziale di preveggenza detonato nel settembre 2019 nel triangolo fra Bruxelles, Washington e Ginevra? Forse perché due anni dopo stiamo ancora vivendo un tragico giorno della marmotta del virus? Al netto, però, di bilanci aziendali e finanziamenti pubblici volati alle stelle.
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