Lavorare all’estero in smart working presto potrebbe essere vietato con le nuove regole allo studio per superare l’emergenza. Ecco per chi scatterà il divieto di lavoro agile fuori dall’Italia.
Per lo smart working all’estero presto potrebbe arrivare il divieto. Sono tanti coloro che da quando è iniziata la pandemia nel 2020, e lo smart working è stato sdoganato nel pubblico come nel privato, hanno deciso di trasferirsi anche per brevi periodi all’estero per lavorare.
Tra le mete più gettonate dagli italiani per lo smart working all’estero per esempio troviamo le Canarie e altri Paesi dal clima mite.
Sono diversi infatti gli Stati che da quando è iniziata la pandemia hanno messo in campo strategie e agevolazioni per attrarre i cosiddetti nomadi digitali o comunque persone che grazie all’introduzione dello smart working hanno pensato di trasferirsi all’estero per lavorare da remoto.
Con la fine dell’emergenza e l’addio alla procedura semplificata per il lavoro agile nel pubblico e nel privato, potrebbe scattare il divieto di smart working all’estero se l’azienda ha sede nei confini nazionali.
Smart working all’estero: ecco per chi arriva il divieto
Lo smart working all’estero presto potrebbe sparire per gli italiani ai quali sarà imposto il divieto per contratto. In particolare questo dovrebbe avvenire per i dipendenti pubblici, ancora non è chiaro se riguarderà anche il settore privato.
Ciò che è certo è che lo smart working verrà disciplinato di nuovo presumibilmente entro la fine dell’anno, a oggi la fine dello stato d’emergenza è fissata al 31 dicembre 2021, sia per il settore pubblico con il rinnovo del contratto degli statali sia per il privato con la definizione di un accordo quadro nazionale con le parti sociali da trasferire nei contratti o eventualmente per legge.
Attualmente per lo smart working è prevista la modalità semplificata che non prevede quindi l’accordo individuale tra le parti.
Presto però dovrebbe cambiare e se da una parte deve essere garantito il diritto alla disconnessione, dall’altra subentrerà il divieto di lavorare dall’estero. Tra i temi centrali sulle nuove regole dello smart working vi sarà anche la sicurezza e quindi la protezione dei dati personali e aziendali.
Il futuro del lavoro in ogni caso, nel privato più che nel pubblico dal momento che il ministro per la PA Renato Brunetta si prepara a richiamare in presenza la maggior parte dei dipendenti pubblici, sarà ibrido.
Divieto di smart working all’estero nella bozza dell’Aran
Il divieto di smart working all’estero, stando alle prime anticipazioni, dovrebbe essere presente nella bozza del rinnovo del contratto degli statali (Funzioni Centrali) di Aran, l’Agenzia che in rappresentanza del governo sta lavorando e su cui si sta confrontando con i sindacati.
Nella bozza infatti - non è chiaro se questo entrerà anche nell’accordo quadro per il settore privato - vi sarebbe il divieto di lavoro all’estero fatta salva l’eventualità che la sede di lavoro si trovi fuori dai confini nazionali.
Non solo divieto di smart working all’estero perché il nuovo contratto garantisce anche il diritto alla disconnessione, ma definendo le fasce orarie di una tipica giornata di lavoro agile. La giornata in smart working si dovrebbe dividere in fasce:
- fascia di operatività nella quale il lavoratore è operativo nell’immediato;
- fascia di contattabilità all’interno della quale il lavoratore può essere comunque contattato via email o telefono;
- fascia di inoperatività che garantisce il diritto alla disconnessione per 11 ore consecutive.
Le amministrazione pubbliche devono dotarsi poi dei POLA (Piano organizzativo del lavoro agile), prevedendo lo smart working per il 15% dei dipendenti. In ogni caso solo alcune categorie, dai genitori con figli piccoli ai disabili, avranno la precedenza.
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