Cos’è la space economy? Le prospettive di un’industria che nel 2040 varrà oltre $1.000 miliardi.
Il crescente interesse delle Big tech statunitensi e la concorrenza tra gli Stati stanno incrementando il giro d’affari della space economy: secondo Morgan Stanley, entro il 2040 l’industria avrà un valore di oltre 1.000 miliardi di dollari.
Il comparto aerospaziale – che riunisce al suo interno le attività di ricerca, sviluppo e realizzazione delle infrastrutture spaziali – è stato supportato per decenni dai finanziamenti istituzionali. Sforzi che hanno portato, esattamente 60 anni fa (12 aprile 1961), al primo uomo nello spazio, il russo Jurij Alekseevic Gagarin con la missione di esplorazione spaziale Vostok 1, e otto anni più tardi ad Apollo 11 e alla indimenticabile passeggiata di Neil Armstrong e Buzz Aldrin sul suolo lunare. Ma il crescente impegno dei paperoni della Silicon Valley, da Bezos a Musk, promette ora di ridefinire le prospettive future e lo stato dei rapporti di forza del comparto.
Ma cos’è, nel dettaglio, la space economy? E qual è il peso economico della corsa allo spazio? Di seguito un’analisi dei principali trend che stanno interessando il comparto aerospaziale, unitamente ad un approfondimento sulle prospettive del settore in Italia.
Cos’è la space economy?
La space economy corrisponde a quella parte dell’economia orientata alla crescita, sviluppo e gestione di tutti gli strumenti, infrastrutture e tecniche per la gestione e l’utilizzo dello spazio cosmico.
I vantaggi della space economy non sono solamente nella relativa novità di questo business, ma anche nelle ricadute pratiche che le scoperte di questo settore hanno nella vita quotidiana: se oggi abbiamo il teflon, i cibi liofilizzati, o la TAC e la microelettronica è grazie alle innovazioni e agli studi svolti per arrivare sulla Luna o per raccogliere polvere di stelle.
La space economy, così come la conosciamo tutti, ci porta a pensare alle stazioni orbitanti, alle missioni di scoperta ed esplorazione di pianeti e corpi celesti ancora oggi a noi estranei. In realtà la space economy si articola in due diversi rami:
- un primo ramo detto upstream, che comprende le infrastrutture spaziali e in cui sono processati materiali e strumenti utili alle operazioni nello spazio;
- un secondo ramo detto downstream, che fa riferimento alle applicazioni basate su infrastrutture spaziali e dove fondamentali sono le applicazioni dei big data.
L’OCSE invece schematizza i principali segmenti dell’economia spaziale in produzione, servizi satellitari e servizi ai consumatori.
Tra investitori e tecnici del settore la divisione concettuale in upstream e downstream rimane la più adoperata.
Dalla Cina agli USA: gli investimenti pubblici nella space economy
La colonizzazione dello spazio è da sempre un settore di prestigio e dall’alta concorrenza tra Paesi. Negli anni sessanta, nel contesto della Guerra fredda, la lotta era esclusivamente tra le due superpotenze USA e Russia, mentre oggi anche l’UE e la Cina sono competitor strategici: se Bruxelles prevede di investire circa 14 miliardi di euro sull’industria aerospaziale nei prossimi tre anni, il Dragone sembra addirittura puntare alla leadership dell’industria, con un budget stimato secondo solo a quello statunitense.
Ed è proprio sul versante USA che si annidano, ad oggi, la maggior parte delle incognite: il corso Repubblicano di Donald Trump ha rivisto al rialzo i finanziamenti alla NASA (“La NASA era morta, l’ho resuscitata” ebbe a dire il tycoon lo scorso anno) ma il prossimo cambio di guardia alla Casa Bianca – che vedrà Joe Biden prendere le redini della prima economia del mondo – potrebbe portare ad un cambiamento radicale dell’industria aerospaziale statunitense.
In ogni caso, non dovrebbe invertirsi il trend che ha caratterizzato la space economy USA nell’ultimo decennio: gran parte degli appalti della NASA continueranno a sfilare sotto gli occhi dei vecchi colossi dell’industria – come Boeing e Lockheed Martin, in prima fila sin dai tempi della Guerra fredda – per finire nelle mani delle rampanti aziende della Silicon Valley, da SpaceX a Blue Origin.
In crescita gli investimenti privati
Come precedentemente accennato, il macro-trend che sta rivoluzionando l’industria aerospaziale – in particolar modo negli Stati Uniti – riguarda il crescente impegno delle aziende private, tra aspirazioni marziane e progetti futuristici sul turismo orbitale.
In termini di capitalizzazione di mercato, le già citate Boeing (118,5 miliardi di dollari) e Lockheed Martin (97,2 miliardi) rimangono ancora tra le big dello spazio, unitamente a Honeywell (146,4 miliardi) e Raytheon (107,7 miliardi), ma i colossi della Silicon Valley continuano ad avanzare, minacciando di rivoluzionare i rapporti di forza nell’industria.
Tra questi, Space X (valore stimato tra i 46 e i 92 miliardi di dollari), la start up fondata dal CEO di Tesla Elon Musk, che ha recentemente firmato un accordo con la NASA per il trasporto di astronauti verso la stazione spaziale internazionale. L’obiettivo, però, è Marte: in tal senso, Musk sta pensando di quotare Space X a Wall Street, nel tentativo di raccogliere i finanziamenti necessari per l’impresa.
Particolarmente attiva anche Blue Origin, la società fondata nel 2000 dal patron di Amazon Jeff Bezos, che si è prefissata l’obiettivo di sviluppare una nave spaziale con decollo e atterraggio verticale. L’azienda, inoltre, sta collaborando con Lockheed Martin per sviluppare un nuovo lander lunare.
Da annoverare tra i pionieri della ormai ribattezzata “Space Valley” anche Richard Branson, il fondatore della prima società aerospaziale quotata in Borsa, Virgin Galactic; Paul Allen, a capo di Stratolunch Systems, l’azienda che si è posta l’obiettivo di portare passeggeri privati su voli spaziali; Larry Bird e Sergey Brin, fondatori di Google e della controllata Google Lunar X Prize; e infine Peter Diamandis, la mente dietro Planetary Resources, start up di estrazioni minerarie extra-planetarie nel mercato dello spazio.
La space economy in Italia
Nel nostro Paese la space economy è tradizionalmente di grande rilevanza (nel 2018 gli investimenti nel settore ammontavano a 1,13 miliardi di euro): l’Italia è uno dei setti Paesi ad essersi dotato di un’agenzia spaziale nazionale dal budget superiore al miliardo di euro, è quinta al mondo (seconda in Europa) per spesa nell’industria della space economy in rapporto al Pil (0,55%) e al 2020 è il terzo contribuente dell’Agenzia spaziale europea con 665,8 milioni di euro.
Inoltre, l’Italia è uno dei pochi Paesi ad avere la filiera completa dell’industria spaziale: dal satellite al software, vi sono coinvolte 250 aziende che danno impiego a 6.500 persone.
Il Paese si distingue e si fa valere per l’elevata qualità, precisione e l’innovatività presente nel settore: sono a marchio italiano molte strumentazioni e componenti di progetti stranieri attivi sia nell’upstream che nel downstream.
L’ASI, Agenzia Spaziale Italiana, ha attive numerose partnership in tutto il mondo, dal Giappone per arrivare all’Australia e fino al Brasile, e può ora contare sul Piano strategico nazionale space economy da 4,7 miliardi di euro.
La space economy italiana, in linea con i programmi europei, si impegna a sviluppare cinque progetti:
- telecomunicazioni satellitari (Mirror GovSatCom);
- infrastruttura Galileo PRS;
- supporto alla partecipazione nazionale a GALILEO (Mirror Galileo);
- supporto a Copernicus (Mirror Copernicus);
- esplorazione spaziale e sviluppi tecnologici connessi
Il processo di democratizzazione
La space economy si sta democratizzando, le ragioni di questa “democratizzazione” derivano dai grandi progressi fatti negli anni, dal maggior numero di entranti nel settore, dalla sua liberalizzazione e dalla riduzione in costi fissi.
Recentemente, da uno studio Morgan Stanley, il costo di un lancio di un satellite è passato dalla cifra iniziale di 200 milioni di dollari a 60 milioni potendo scendere fino ai 5 milioni di dollari se i missili riutilizzabili diventassero la regola.
La produzione di massa via satellite calerebbe perciò dai 500 milioni di dollari per satellite a 500 mila dollari. Bisogna però fare attenzione che dal processo di democratizzazione in avviamento non si viri verso la costruzione di un monopolio naturale a causa del costruirsi nel tempo di veri e propri space giants, andando a ricalcare molto quanto sta accadendo negli ultimi anni per Internet.
Le sfide per il futuro: la necessità di regolamentare il settore
Preso atto della crescente rilevanza della space economy, i singoli Stati sono chiamati a farsi carico di diversi impegni. Oltre a continuare ad investire anche con forme diverse dalle usuali, sfruttando per esempio come sta accadendo il partenariato pubblico-privato, le principali necessità sono quelle di tutelare il settore e soprattutto prevederne una regolamentazione profonda poiché gli Atti ed i Regolamenti sono ancora quelli degli anni settanta ed i privati aumentano il loro potere.
La regolamentazione è indispensabile ancor più dopo quanto avvenuto con la messa in orbita dei 60 satelliti del progetto Starlink nel 2019. Durante la messa in orbita dei satelliti, molti siti web hanno segnalato centinaia di segnalazioni Ufo non sapendo si trattasse in realtà del progetto. Il lancio ha seriamente allarmato anche astronomi e gli altri studiosi: i satelliti impiegavano più di cinque minuti per arrivare da una parte all’altra dell’orizzonte e se si pensa che per la fine del 2027 essi saranno più di 12 mila ciò impatterà seriamente sul modo in cui ricercatori e noi tutti osserviamo il cosmo.
Parlare di space economy e di regolamentarle è molto importante poiché le innovazioni in questo campo e le nuove applicazioni che queste consentono stanno influenzando anche altri settori , come il marketing e l’advertising.
Viaggi nello spazio, colonizzazione e sviluppo di nuovi territori o di nuovi materiali, la possibilità di indagare e testare le leggi della fisica: sono questi i sogni della space economy. Gli investimenti che la space economy riesce ad attirare sono utilissimi per il nostro progresso, facendo attenzione a non inquinare ciò che ancora ha il potere di incantarci.
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