Il ministro della Salute non esclude un’altra proroga, di fatto in deroga al limite dei 24 mesi. Un’escalation silenziosa che sembra ricalcare quanto avviene in Cina, dove le restrizioni aumentano
Distratti dal rumore di fondo del G20 e della sua rivoluzionaria e concretissima promessa di un 1,5 gradi di riduzione della temperatura entro metà secolo, gli italiani rischiano di essersi persi l’unica notizia che in realtà valesse la pena di conoscere oggi. Ovvero, la pressoché certezza di una proroga dello stato di emergenza, attualmente in vigore fino al 31 gennaio 2022.
Tradotto, il governo sta valutando l’aumento dei contagi degli ultimi giorni come un trend che difficilmente andrà in regressione a breve. Esattamente come sta accadendo nel Regno Unito, in Germania e in Belgio. Ecco le parole del ministro della Salute, Roberto Speranza, intervistato in un programma Rai: Proroga dello stato d’emergenza? Come Governo ci baseremo sull’evidenza scientifica, se sarà necessario prorogare lo stato d’emergenza lo faremo senza timore. Ricordo che ad oggi la curva è in risalita.
Insomma, sintetizzando: siamo i più bravi di tutti nel vaccinare in massa e nel far ripartire in sicurezza l’economia e la società grazie al green pass, abbiamo il Pil a oltre il 6% per il 2021 e nel terzo trimestre battiamo l’intera eurozona, anneghiamo nei fondi del Pnrr, addirittura il governo auto-applaude alla propria Legge di stabilità al termine del Consiglio dei ministri. Eppure il nostro spread è volato a 130 punti base nell’arco di tre giorni, al primo stormir di fronda sui rendimenti obbligazionari pre-taper. E nonostante le rassicurazioni di madame Lagarde rispetto agli acquisti di titoli e al rialzo dei tassi che va inteso ancora come lontanissimo, nonostante un’inflazione palesemente fuori controllo e tutt’altro che transitoria.
Ma, soprattutto, al primo segnale in controtendenza già evochiamo una proroga allo stato di emergenza. Il quale, in base al decreto legge numero 1 del 2008 - meglio conosciuto come Codice della Protezione Civile - può durare al massimo 12 mesi con ulteriori 12 di proroga. Dopodiché deve cessare. Essendo stato proclamato appunto il 31 gennaio 2020 dall’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, la contabilità appare semplice. In base a quale criterio si potrà imporre una nuova prosecuzione di quello status, di fatto entrando in pieno nella fattispecie dello stato di eccezione? Indicare una nuova emergenza, formalmente in grado di azzerare il conteggio. Ad esempio, una variante particolarmente contagiosa e pericolosa.
Forse il ministro Speranza sa qualcosa che noi comuni mortali ancora ignoriamo, stante il tono stentoreo della sua risposta a una domanda che avrebbe potuto tranquillamente ricevere come replica un più tranquillizzante, Al momento l’ipotesi non si pone? Ma attenzione, perché quando si prodiga in uscite simili, il ministro della Salute opera in modalità parafulmine come Fantozzi, quando viene assunto nuovamente nella megaditta ma deve ripartire dal livello più basso dell’organigramma. Per quanto i telegiornali siano pieni di immagini dei grandi della Terra intenti a lanciare monetine nella Fontana di Trevi come turisti giapponesi qualsiasi, la realtà sottotraccia mostra delle crepe.
E questo grafico
mostra il perché ci sia da cominciare a interrogarsi per le settimane a venire rispetto all’ipotesi di un rischio lockdown (quantomeno selettivo per i non vaccinati, in stile Austria), oltre a quella della proroga dello stato di emergenza. Se l’assenza di Xi Jinping a Roma ha molto a che fare con l’irritazione per la questione riguardante Taiwan e la conseguente volontà di inviare un segnale chiaro a tutti, l’approssimarsi del Sesto Plenum del Partito comunista (8-9 novembre) sembra corrispondere con una nuova fiammata di contagi. Solo nella giornata del 29 ottobre il numero di nuovi infettati è stato di 78 contro i 64 del giorno precedente ma a far paura è il secondo intervento nell’arco di cinque giorni del portavoce della Commissione nazionale di sanità, Mi Feng, il quale ha posto l’accento sull’alto grado di vigilanza richiesto alle autorità rispetto all’arrivo di cittadini dall’estero nel porto di Shanghai, città che pare epicentro della nuova fiammata.
La quale starebbe sviluppandosi e diffondendosi molto rapidamente. Se per caso l’hub portuale di Shangahi dovesse subire blocchi o ulteriori rallentamenti dell’attività, stante la situazione della supply chain globale, gli outlook di crescita globali precipiterebbero in vista dell’anno nuovo. E se questo altro grafico
mostra come, in base a dati tracciata da Airportia, il traffico aereo cinese sia in netto rallentamento e già sotto i livelli del 2020, di fatto un proxy palese di una restrizione dei movimenti interni non comunicata ufficialmente ma di fatto già imposta, questa terza immagine
mostra come in ottobre l’attività manifatturiera cinese abbia patito un ulteriore rallentamento, il secondo mese di fila di contrazione.
Occorre fare qualcosa. Ma c’è un problema, come mostrano questi ultimi due grafici:
in otto giorni, la Banca centrale cinese ha iniettato nel sistema quasi un trilione di yuan in fondi a breve termine, al fine di mantenerlo liquido e lubrificato per il combinato fra bolla immobiliare e rischi di default interni per rallentamenti della produzione. Nulla che possa essere comparato a un prodromo di QE ma, certamente, una drastica inversione di marcia rispetto alla politica di controllo creditizio varata da Xi Jinping e sostanziatasi negli ultimi quattro trimestri in limitati interventi chirurgici e tagli dei requisiti di riserva bancari. Gli scricchiolii sono sistemici, insomma. La narrativa del 6% comincia a traballare, ancorché solo nel chiuso delle stanze che contano. Per ora. L’uscita del ministro Speranza, però, rappresenta la prima, travisata ammissione.
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