Torna a salire lo spread in un clima infuocato nei mercati: inflazione sempre più calda in Europa e pressioni sulla prossima riunione Bce e sui rialzi dei tassi stanno spingendo i differenziali.
L’Italia torna a temere lo spread elevato: al momento in cui si scrive il differenziale tra il rendimento del Bund tedesco decennale e il Btp a 10 anni italiano schizza a 210 punti.
L’atmosfera dei mercati si sta facendo di nuovo molto calda e incerta. L’inflazione ha mostrato nuovi e allarmanti picchi, soprattutto in Europa e l’imminente riunione Bce del 9 giugno è attesa come non mai.
Si fa pressante la richiesta di interventi al rialzo sui tassi dell’Eurozona, con i falchi a spingere per un approccio più impattante con un aumento di mezzi punto.
Intanto, in questa cornice, lo spread corre a 210 punti. E per l’Italia non è una buona notizia.
Inflazione, tassi, Bce spingono in alto lo spread
Con un rendimento a 1,2690, il Bund decennale tedesco viaggia ad alti ritmi, proprio come l’inflazione, che in Germania potrebbe toccare anche l’8%. Anche il Btp a 10 anni rende di più, toccando il 3,371% e spingendolo spread Btp/Bund a 210 punti (alle ore 15.8), con un +40% da inizio anno.
Cosa sta succedendo? Gli oneri finanziari aumentano per il Belpaese, riportando in primo piano i vecchi problemi dei conti nazionali.
La cornice di questo balzo in avanti del differenziale tra i due rendimenti è chiara: i prezzi al consumo non accennano a freddarsi e con una Bce che finora ha tenuto ferma la sua politica monetaria, le aspettative di un rialzo dei tassi a breve si moltiplicano.
Un giorno dopo aver scontato un aumento del tasso di 50 punti base da parte della Banca centrale europea entro la fine dell’anno, i trader scommettono ora che la mossa avverrà prima, a ottobre.
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L’Italia può farcela con tassi Bce più elevati?
C’è una pressione senza precedenti sui responsabili politici europei, che stanno cercando di tenere sotto controllo l’aumento dell’inflazione e la moneta comunitaria, con l’euro che il mese scorso è sceso al livello più basso rispetto al dollaro dal 2017.
Mentre i funzionari della Bce hanno da tempo segnalato che è in arrivo un rialzo di un quarto di punto a luglio, alcuni membri del Consiglio direttivo hanno suggerito che è possibile un intervento più grande. E lo spread, in queste aspettative, si impenna.
In un’indagine Bloomberg, gli analisti intervistati prevedono aumenti trimestrali del tasso sui depositi da dicembre a settembre del prossimo anno, portandolo all’1%.
Il tasso di rifinanziamento principale è visto raggiungere l’1,5% alla fine del 2023, il livello che la maggioranza degli economisti ritiene neutrale, senza limitare né stimolare la crescita economica.
È improbabile che questo scenario soddisfi le colombe, tra cui il membro Fabio Panetta, che ha messo in guardia contro l’aumento dei tassi fino a questo punto, sollecitando invece un approccio graduale e forse anche una pausa a zero.
“L’ambiente inflazionistico richiederà un processo di normalizzazione più rapido”, ha affermato Ulrike Kastens, economista del DWS Group che “non prevede alcun accenno a una stretta monetaria, per il momento”.
Secondo Jan von Gerich, capo analista di Nordea, “molti membri del Consiglio direttivo hanno perso fiducia nella capacità della Bce di prevedere l’inflazione nell’attuale contesto e hanno visto abbastanza segnali di pressioni al rialzo sui prezzi da giustificare un’azione.”
Il momento, quindi, è davvero cruciale e la stessa corsa dello spread lo dimostra. L’Eurozona è circondata da segnali contrastanti e gli oneri sul debito per Paesi come l’Italia - destinati ad aumentare - sono uno specchio al quale la fragilità economica si riflette.
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