L’aumento dei prestiti agli studenti negli Stati Uniti rischia di creare una bolla speculativa come quella dei mutui subprime nel 2008. Parola di Jacques Sapir.
Una nuova bolla speculativa proveniente dagli Stati Uniti minaccia la stabilità finanziaria del pianeta: quella dei prestiti studenteschi.
Secondo l’economista francese Jacques Sapir, infatti, l’aumento sconsiderato dei prestiti elargiti agli universitari americani negli ultimi anni toccherebbe un livello prossimo a quello raggiunto dai mutui subprime, responsabili della crisi finanziaria del 2008. L’esplosione della bolla speculativa è più di un presagio.
Per Sapir, sono tre le ragioni che sottostanno all’accumulo sconsiderato di prestiti (debiti) studenteschi:
- la dipartita dello Stato come finanziatore degli studi universitari;
- il crollo dei salari registrato nell’ultimo quarantennio;
- l’aumento consequenziale delle domande d’iscrizione al College.
La commistione di questi tre aspetti ha favorito forme di finanziamento privato creando un mercato del “prestito studentesco”, proprio come avvenne con i mutui a tasso variabile sulle abitazioni nel 2008.
Il risultato? Cresce il numero di studenti incapaci, perché disoccupati o mal pagati, di rientrare dai prestiti contratti con la banche. Una situazione che ricorda quegli americani che dal 2000 fino al crollo di Lehman Brothers si sono visti riconoscere dalle banche mutui su case che non avrebbero mai potuto ripagare perché nel frattempo l’economia americana stagnava e di riflesso la disoccupazione aumentava.
Debito studentesco in America: i numeri
Secondo le stime portate alla luce da Sapir, i debiti contratti dagli studenti americani per frequentare una qualunque università americana (incluse quelle della Ivy League) ammonterebbero a circa 1.400 miliardi di dollari, 1.000 dei quali sarebbero stati contratti con istituti di credito privati e i restanti 400 con “enti federali”.
Ancora, sono 44 milioni gli americani stimati di aver contratto una qualunque forma di prestito (debito) studentesco. Almeno 7,4 milioni di questi, al momento, non presentano condizioni di solvibilità.
Il 17% degli ex studenti universitari americani è titolare dell’11% del monte debito totale. Una situazione, rammenta Sapir, la cui gravità è seconda solo allo scenario del 2008.
Come si diceva, l’origine di quella che appare senza alcun dubbio come una bolla pronta ad esplodere si spiega con la sostanziale privatizzazione dei prestiti universitari e la stagnazione dei salari – che a portato i giovani ad intraprendere gli studi (pur non avendo i mezzi economici per farlo) con la convinzione che questi avrebbero garantito loro un futuro migliore. L’aumento consequenziale delle domande d’iscrizione al College, lautamente finanziato dalle banche a tassi irrisori, ha quindi generato una voragine debitoria.
Pubblico e privato: com’è cambiata l’istruzione universitaria americana?
Per Sapir, negli USA la dismissione (parziale) del ruolo dello Stato federale nel sostentamento delle carriere universitarie ha favorito la creazione di un ambiente economico, ad appannaggio delle banche, in cui indebitarsi è divenuto facilissimo.
L’economista ricorda come fino agli anni ’80 il sistema accademico americano “riponesse” la fiducia nel ruolo dell’ente federale di riferimento per garantire il finanziamento degli studi a coloro i quali non vantavano condizioni economiche agiate. Un sistema, quello americano, il cui successo è stato evidente anche nei Paesi che hanno deciso di emularne i principi.
Tuttavia, agli inizi degli anni ’90 (il decennio dell’euforia globale, per dirla con Streeck) le università americane, complice l’atteggiamento lasco del Governo federale negli affari scolastici, hanno foraggiato “in un sistema concorrenziale, programmi sempre più ambiziosi”, generando un interessamento da parte dell’industria finanziaria.
I salari stagnano e le domande d’iscrizione all’università aumentano. Perché?
Negli ultimi 40 anni – in linea di massima dal 1973 – l’aumento dei giovani americani iscritti all’università è stato evidente. Per Sapir, la ragione è insita nella ricerca da parte dei giovani di un salario e prospettive di vita migliori (che solo un’istruzione superiore, nell’immaginario comune, può garantire).
Questo perché la globalizzazione della produzione di massa ha spinto al ribasso, pressoché ovunque, i salari dei lavoratori dipendenti. Sapir segnala che a partire dal 1973 ad un aumento della produttività non è coinciso un aumento del salario reale. Pertanto, quei giovani le cui prospettive erano nel settore primario hanno in definitiva optato per lo studio universitario e quindi per un “ingresso nella classe media” (dove i redditi si supponevano essere migliori).
Il desiderio di guadagnare di più, lasciandosi alle spalle i lavori che erano stati dei genitori, ha spinto una massa generosa di giovani verso l’università.
Tutto ciò, complice il passaggio dei finanziamenti universitari dallo Stato federale alle banche, ha portato la nuova massa di studenti a sottoscrivere prestiti per pagarsi gli studi con la promessa, una volta conclusi e quindi trovato un lavoro, di rientrare dal debito attraverso il pagamento dei tassi d’interesse.
Tuttavia, l’onda lunga dell’ultima crisi economica ha reso impresa assai ardua trovare un lavoro. Sono milioni gli studenti negli Usa che, concluso il percorso di studio universitario, non guadagnano abbastanza per ripagare il debito (lo stesso che gli ha concesso di studiare all’università).
Così Sapir:
“Legioni di giovani laureati presso università poco blasonate, che hanno comunque speso 60.000 dollari per un titolo di studio, scoprono che questo apre loro la porta di un lavoro come cameriere in un fast-food”.
Così nascono le bolle.
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