In vista della decisione della Fed in merito ai tassi d’interesse, le previsioni sui bond delle società statunitensi non sono buone e rischiano di compromettere il mercato.
Parte dei bond corporate statunitensi è sempre più rischiosa e il quadro per il futuro è tutt’altro che roseo: è quanto dichiarato da Laird Landmann della TCW, una delle maggiori società di asset management a livello mondiale.
“Quando i profitti scendono, la leva finanziaria è alta e i tassi d’interesse salgono. Questo non va bene”.
Landmann non è l’unico a esprimere delle preoccupazioni in merito al mercato delle obbligazioni con l’avvicinarsi della riunione della Federal Reserve in programma per il 16 dicembre.
Sembra che la Fed possa finalmente decidere per un rialzo dei tassi d’interesse dopo sette anni in cui sono rimasti praticamente a zero. Nonostante l’ascesa dei tassi sarà probabilmente per la maggior parte lenta, e la Banca centrale americana abbia lanciato molto avvertimenti a riguardo, ci si chiede quanto il mercato possa reagire bene persino a una piccola quantità di restrizioni.
Un aumento dei tassi d’interesse rappresenta infatti una cattiva notizia per tutte quelle aziende che stanno cercando di coprire i propri debiti. I bond di società già a rischio offrono rendimenti più alti, ma sono le stesse che potrebbero fallire se i rialzi dei tassi di interesse sono troppi e avvengono troppo in fretta.
Secondo un report di UBS, più di 663 miliardi di bond ad alto rendimento si trovano in una zona di alto rischio.
La Bank of International Settlement (BIS) ha fatto riferimento a ciò che sta succedendo come ad una “calma preoccupante” (probabilmente perché prima della tempesta che verrà scatenata dalla Presidente della Federal Reserve Janet Yellen).
La BIS è stata spesso definita “la banca più centrale tra le banche centrali” e ospita anche le figure più diffidenti sui tentativi di allentare la politica monetaria per scatenare la domanda fin dalla crisi finanziaria del 2008.
Questa volta il report trimestrale della BIS ha espresso delle preoccupazioni sui mercati emergenti, domandandosi come potrebbero affrontare l’aumento dei tassi.
L’ultima previsione è stata paragonata a quella del “taper tantrum” del 2013, quando Ben Bernanke, precedente governatore della Federal Reserve, annunciò la sua intenzione di un allentamento del quantitative easing.
Allora l’economia statunitense non era così forte, ma il mercato azionario stava crescendo e i tassi di cambio erano stati stabili per i precedenti sei mesi. Questa volta i tassi di cambio e le azioni sono andati indebolendosi rispetto al dollaro.
Le deboli condizioni del mercato, combinate con un sensibile aumento dei tassi statunitensi, potrebbero aumentare il rischio di un’eccessiva ricaduta sui mercati emergenti una volta che la policy statunitense si sarà normalizzata.
Da una parte una solida ripresa americana, che rappresenta la base per un aumento dei tassi, potrebbe portare dei benefici ai mercati emergenti attraverso i canali commerciali. Dall’altra un maggiore apprezzamento del dollaro USA e un incremento dei profitti potrebbe portare a una crescita del rischio di inflazione in alcuni paesi.
Il problema dei mercati emergenti non sono solo tassi d’interesse più alti, ma anche un dollaro più forte. Qualsiasi società del mondo che ha contratto debiti in dollari e visto la sua propria valuta cadere contro il biglietto verde, sta anche constatando come le restituzioni stiano diventando sempre più faticose.
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