Lo stabilimento ex Fiat di Termini Imerese è tornato sulle prime pagine per gli arresti dei vertici di Blutec. Una breve storia della fabbrica siciliana di auto, ferma da otto anni.
Termini Imerese è stata una di quelle fabbriche automobilistiche ritenute un fiore all’occhiello per organizzazione ed efficienza. Lo affermava Sergio Marchionne, lo stesso che ne decretò la chiusura nel 2011. Uno stabilimento con una storia ultra quarantennale che da gloriosa è diventata problematica, e poi fallimentare.
Aperto nel 1970, era di proprietà della Sicilfiat, una società partecipata al 60% da Fiat e al 40% dalla Regione Siciliana. Un accordo pubblico-privato per stimolare la crescita del Meridione impiantando la produzione delle vetture piccole e compatte della gamma torinese.
Dopo il completamento dello stabilimento, reso possibile anche grazie ai contributi erogati dalle istituzioni siciliane, si inizio a produrre con una forza lavoro di 350 addetti. Le prime vetture ad uscire dalla catena di montaggio furono le Fiat 500 L, aggiornate nel 1972 con le 500 R. Terminata la produzione della 500, nel 1975 fu la volta della Fiat 126.
Termini Imerese dalla Fiat Panda alla Lancia Ypsilon
Nel 1977 la Fiat rilevò l’intera proprietà dello stabilimento di Termini Imerese, che impiegava all’epoca 1.500 addetti. Nel 1980 partì la produzione della Fiat Panda prima serie, che portò ulteriore lavoro tanto che il numero degli operai crebbe fino 3.200 unità organizzate su tre turni di lavoro, oltre a 1.200 occupati dell’indotto.
Nel 1993 l’avvio della produzione della Fiat Punto coincise con la prima grave crisi del settore auto, che comportò una riorganizzazione del lavoro con la prima sfoltita del personale. Tra il 1991 e il 2001 il numero degli addetti si ridusse di oltre 1.110 unità, Termini Imerese cominciò ad essere ritenuto poco conveniente perché la componentistica delle auto era prodotta quasi tutta nel Nord Italia e le spese di trasporto ingenti.
Nel 2002 arrivarono i primi 223 licenziamenti, che portarono il numero degli occupati a 1.536 unità (e 800 nell’indotto). Il fatto che lo stabilimento era in grado di produrre un solo modello per volta ne vincolava la sopravvivenza al successo del modello prodotto. Nel 2005 arrivò la Lancia Ypsilon, l’ultima vettura ad essere prodotta nello stabilimento siciliano.
La sorte di Termini Imerese divenne chiara quando - nel gennaio 2010 - Sergio Marchionne parlò dell’inappellabile decisione di chiudere lo stabilimento durante il suo intervento all’Automotive News World Congress organizzato al Renaissance Center di Detroit. Chiusura che arrivò il 31 dicembre 2011, quando la fabbrica fu dismessa e i lavoratori posti in mobilità.
La suggestione DR Motor Company
Dopo la dismissione da parte di Fiat SpA, su Termini Imerese vennero avanzate tante proposte e tante idee, quasi tutte rimaste allo stato di parole. Quella che sembrò avere una parvenza di concretezza fu l’idea di DR Motor Company di rilevare l’impianto produttivo per impiantarvi l’assemblaggio delle proprie auto, che DR assembla su licenza di due costruttori cinesi.
Ma la suggestione italo-cinese durò poco: dopo una lunga trattativa con gli enti locali, governo e sindacati, DR sembrava avere in mano un piano con investimenti per oltre 300 milioni e l’avvio della produzione pareva imminente. Ma nel 2013 la situazione era ancora in stallo,e la successiva crisi del gruppo DR Motor Company portò l’azienda al concordato preventivo e alla successiva procedura concorsuale.
Le promesse mancate e il bluff di Blutec
Svanita l’ipotesi di assembrale a Termini Imerese le auto di produzione cinese si fece sotto la newco Blutec - società del gruppo metallurgico torinese Metec-Stola - che intendeva utilizzare l’impianto per produrre auto ibride ed elettriche. Blutec assunse il controllo della fabbrica il 1 gennaio 2015 grazie ai finanziamenti pubblici erogati da Invitalia.
Le assunzioni previste inizialmente - 90 operai tra quelli in cassa integrazione- dovevano servire a preparare lo stabilimento per l’avvio della produzione, subordinata all’arrivo dei nuovi macchinari. Ma a causa dei problemi legati al finanziamento di Invitalia il programma di lavori non è mai partito, e in questi giorni il grande bluff è venuto alla luce con l’arresto per malversazione ai danni dello Stato del presidente di Blutec Roberto Ginatta e dell’amministratore delegato Cosimo Di Cursi.
L’accusa è quella di aver distratto 16 dei 21 milioni di finanziamenti previsti per lo stabilimento di Termini Imerese in speculazioni che nulla hanno a che fare con la produzione di auto elettriche. Nei confronti dei vertici di Blutec è scattato anche il provvedimento di interdizione: per 12 mesi non potranno esercitare imprese e uffici direttivi.
570 lavoratori in cassa integrazione da 12 anni
E ora, che ne sarà di Termini Imerese? È quello che si chiedono i 570 lavoratori in cassa integrazione, alcuni dei quali da 12 anni, e i 130 impegnati in progetti di formazione. Da otto anni la produzione dello stabilimento è ferma e non si è concretizzato nessuno dei piani di rilancio previsti.
A fine febbraio il Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio aveva fatto visita allo stabilimento siciliano per annunciare la proroga degli ammortizzatori sociali scaduti a dicembre, e soprattutto per ricordare alla Blutec l’obbligo di onorare gli impegni assunti. Ancora una volta, parole al vento.
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