Cosa cerca di ottenere chi organizza un attentato e come ci si può difendere una volta compreso di esserne vittime anche come semplici cittadini e fruitori di informazione?
Come è ormai «normale» in Francia c’è stata una nuova serie di attentati, stavolta nel centro di Parigi, nella serata di ieri 13 novembre 2015.
Questa mattina le vittime accertate, intese come persone che hanno perso la vita, sono 127 e il conteggio è ancora parziale.
Non è però di queste vittime che voglio parlare, chi ha perso la vita in questa storia non è la vera vittima in quanto non rimarrà su questa terra a subire le conseguenze dell’attentato, quelle conseguenze per cui il gesto è stato pensato, progettato e compiuto.
Le vittime vere, quelle designate, siamo noi. Chi è morto è morto per caso, o meglio per tragica sfortuna, quella di essere nel posto sbagliato nel momento sbagliato.
Chi vive e si trova davanti alla TV o collegato ad internet a informarsi sulla vicenda, ad assorbire il mood emotivo generale che eventi di questo genere causano a livello di interi popoli e continenti, sta subendo l’attacco vero, sta portando l’attentato terroristico dentro di sé e attorno a sé, permettendo al piano dei terroristi di andare ad ottenere le sue finalità.
Emotività: il vero obiettivo dei terroristi
Gli effetti dell’attentato ho potuto osservarli sui social già ieri sera quando senza ancora nessuna informazione se non gli spari, le bombe e i primi morti, i miei contatti su facebook non facevano altro che scrivere dell’attentato, manifestare solidarietà, cordoglio e paura in modo banale ed esplicito, certamente sincero ma anche stupido.
E’ triste constatare come lo share sui social in queste occasioni rappresenti per i terroristi un metodo molto semplice, nell’epoca della connessione per tutti e dei big data, per misurare l’efficacia del loro gesto. Nei prossimi giorni usciranno certamente articoli con i dati di Facebook e Twitter sui picchi di ricorrenze della parola paura nella varie lingue, o dell’hashtag #PrayForParis al top su Twitter in queste ore... Tutti dati utili ad ingrassare i KPI (se non sai cosa sono leggi qui, è importante sapere che esistono) più importanti nel report finale dei terroristi. Complimenti agli users dei social per il loro contributo alla buona riuscita del progetto.
A cosa serve la Paura
Va bene, la paura è importante, ma è un obiettivo sufficiente per chi ha pensato, preparato e finanziato l’attentato? No, come KPI è solo un indicatore intermedio che indica con un buon grado di confidenza il possibile ottenimento di un obiettivo successivo e più difficile da misurare nel breve periodo (per questo si usano i KPI): l’influenza sul pensiero razionale individuale e di massa, la creazione di un frame come spiega egregiamente da anni l’ottimo e sempre troppo poco letto Marcello Foa.
La misurazione successiva ho potuto farla io stamattina, mentre venivo in redazione a scrivere questo pezzo, un padre spiegava per strada al figlio di 4 o 5 anni che «la Siria è dove c’è l’ISIS» (questo è quanto ho potuto captare incrociandoli sul marciapiede).
Toh, un attentato a Parigi i cui dettagli sono ancora tutta da definire già stamattina forma o rafforza un giudizio sulla Siria.... molto interessante, no?
Il problema delle emozioni è che influenzano il pensiero razionale, distorcendolo. Lo sa benissimo chi fa trading e lo ripetiamo spessissimo su un sito come Forexinfo che normalmente di questo si occupa: le emozioni sono il primo nemico di chiunque sia chiamato ad effettuare scelte razionali che abbiano un impatto concreto sulla propria vita.
Per i trader sarà il caso del conto in banca, per i Cittadini-elettori la posta in gioco è persino più salata: si tratta della definizione e del controllo degli atti della propria classe dirigente e quindi della politica della propria Nazione, elementi che impattano fortissimamente sulle nostre vite anche se in modo più subdolo e meno evidente di uno stop-loss su un trade sbagliato, magari per proprio per emotività.
Come difendersi dal terrorismo?
Veniamo quindi alla conclusione dell’articolo che trova la sua premessa già dal titolo: come difendersi dal terrorismo?
Semplicemente contenendo quanto più possibile la naturale e umanissima risposta emotiva immediata e adottando un approccio il più possibile razionale partendo da una domanda che essendo rimasta famosa in lingua Latina deve essere stata posta davvero spesso negli ultimi 2 millenni: Cui prodest?.
In parte l’abbiamo visto nelle righe precedenti:
- giova ai governi che ottengono un’opinione pubblica ricompattata e impaurita, bisognosa solo di decisionismo e rassicurazioni (e improvvisamente meno attenta ai problemi interni concreti come crescita economica, lavoro, equità, corruzione).
- giova ai manovratori dello scacchiere internazionale («la Siria è dove c’è l’ISIS») che possono trovare in attentati importanti il pretesto per sbloccare fasi di stallo o ribaltare completamente scenari che non si stavano muovendo secondo i piani, la Siria con i recenti interventi russi potrebbe uno scenario di questo tipo dal punto di vista occidentale.
- non sembra giovare ai terroristi che intesi come individui che compiono gli atti ci restano spesso secchi e intesi come organizzazioni non ottengono mai nulla oltre i buoni numeri sul KPI della paura. Per il resto, da Al-Quaida all’ISIS, i risultati ottenuti sono solo grande caos e vittime in casa propria (o almeno i paesi che si suppongono esserlo) per via delle ovvie rappresaglie dei grandi e civili Paesi attaccati che rispondono ovviamente con guerra e morti a decine di migliaia negli arretrati e poveri paesi covo dei terroristi, peraltro facendo nel frattempo fare a qualcuno con l’occasione un bel po’ di soldi.
Volete far fallire gli attentati? Non reagite sull’onda dell’emotività e non fatevi sfilare da sotto il naso la soluzione ai nostri problemi interni dal dibattito mediatico e politico. Il terrorismo? Fate conto non esista e non avrà più ragione di esistere, tutto qui.
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