Test coronavirus finiti? Al vicino di casa del paziente 1 a Codogno non sarebbe ancora stato fatto alcun tampone.
L’epidemia di coronavirus non accenna ad arrestarsi, come anche le numerose fake news e le accuse che rimbalzano da una parte e l’altra: il nuovo nodo da sciogliere riguarda i cittadini residenti nella zona rossa, che non starebbero ricevendo l’assistenza promessa.
Addirittura, come rivelato in un servizio de Le Iene, un vicino di casa del paziente 1 di Codogno, dopo aver chiamato varie volte il numero preposto e aver visto il proprio medico di base e l’ospedale scaricarsi a vicenda la responsabilità dei controlli, non avrebbe ancora avuto accesso al test per il coronavirus, nonostante abbia febbre e tosse ormai da giorni.
“Ho chiamato più volte i numeri dell’emergenza ma nessuno ancora è venuto a farmi il tampone”, ha rivelato l’uomo, Gabriele, residente nel lodigiano e che giorni fa aveva lanciato l’accusa tramite un’intervista radiofonica, dichiarando:
“Sono in auto-quarantena. Abito nello stesso condominio del 38enne Mattia, da cui è partito il coronavirus. È una settimana che ho febbre e tosse ma non riesco a farmi fare il test”.
Coronavirus: caos nell’assistenza nelle zone rosse
Chiamato il proprio medico di base, dopo giorni di febbre e conscio del focolaio di coronavirus presente nel suo Paese, Codogno, Gabriele si sarebbe sentito rispondere che non poteva essere accolto in studio né tantomeno il medico si sarebbe presentato presso la sua abitazione.
Il medico gli dice di chiamare il 112, e così fa: spiegato il motivo della telefonata, Gabriele avrebbe rivelato chiaramente di essere residente nello stesso paese e nello stesso palazzo da cui sarebbe partito tutto.
Lo scorso venerdì, “dopo 3 o 4 chiamate” al 112, in serata riceve finalmente risposta. Spiega:
“Il medico del 112 m’ha chiesto se avevo avuto dei contatti diretti con questi miei vicini di casa e io ho confermato che non ho avuto un contatto diretto, ma che semplicemente frequentiamo la stessa rampa di scale, la stessa portineria. E basta. Mi ha risposto che se non c’è stato un rapporto dovevo contattare il mio medico curante al che gli ho spiegato che era stato lui a indirizzarmi al 112.”
Arriva così la decisione di Gabriele di mettersi in auto-quarantena. “Mi ha chiamato l’Ats, l’azienda di tutela della salute e mi ha invitato a non lasciare casa, a me personalmente”.
A visitarlo è una sua amica dottoressa, la quale ritiene che nel suo caso possa essere una semplice influenza stagionale. Per stare tranquilli, e per far stare tranquilli anche i familiari e tutte le persone che sono state a contatto con lui e la sua attività nei giorni precedenti, Gabriele decide di fare il test del coronavirus, anche alla luce del fatto che un suo amico, con cui è andato a cena fuori il 7 febbraio scorso, è risultato positivo - informazione riferita al 112.
Tamponi per il test coronavirus finiti?
Essendoci stato un contatto diretto con un infetto, la situazione è aumentata di urgenza ma sembrerebbero finiti i tamponi per il test. “Questa mattina (lunedì, ndr) i tamponi qua erano finiti e stavano aspettando che arrivassero”. Così a Codogno, epicentro dell’epidemia di coronavirus in Italia, è impossibile effettuare i test per comprendere chi è infetto e chi no.
Gabriele aggiunge poi una speculazione, del tutto personale:
“Secondo me erano già finiti da sabato, era per quello che temporeggiavano, e alle 3 del pomeriggio hanno ripreso a fare tamponi alle persone più esposte, più a rischio. Però a me hanno chiamato alle 7 di questa sera ma per ribadirmi la stessa cosa, che hanno tantissime richieste, e comunque devo ancora aspettare, mettermi in quarantena, non avere contatti con l’esterno, perché ci sono altre priorità prima da accontentare. E poi nei giorni prossimi verrà anche il mio turno, questo è quanto”.
Oltre Gabriele, anche gli altri vicini di casa del paziente 1 non hanno ancora fatto il test per il coronavirus.
Il paradosso: “Devi fare il test in un ospedale fuori la zona rossa”
Pochi giorni dopo Gabriele viene chiamato per recarsi all’ospedale di Sant’Angelo Lodigiano, fuori la zona rossa in cui risiede. Si mette in macchina, ma arrivato al primo posto di blocco i carabinieri non lo fanno proseguire, non importa che debba recarsi ad effettuare il tampone.
Gabriele spiega a Le Iene:
“Ma non c’è coordinamento. Gli spiego il caso. E dicono ‘ah, non la fanno passare? Sì in effetti noi non abbiamo nessuna facoltà di dare dei lasciapassare, ma non avendo disponibilità di medici che vanno alle abitazioni dei richiedenti, siamo costretti a mandarli negli ospedali’”.
L’ospedale, che lo chiama poco dopo, gli rivela che «stiamo cercando di organizzare adesso un centro per i tamponi, nella sua zona che sarà Codogno all’interno della zona rossa e quindi aspetti ancora la nostra chiamata, che verrà richiamato per fare il tampone».
Dopo cinque giorni, ancora tutto tace, ancora nessun test fatto.
Tutti devono fare la loro parte
In una situazione d’emergenza è sicuramente comprensibile che si generi del caos, ma il dovere di tutti è quello di mantenere una catena di informazioni e comunicazioni il più possibile coerente, così da avere cura di ogni cittadino non solo a livello sanitario ma anche a livello psicologico e sociale.
I cittadini, a loro volta, sono chiamati a comprendere la delicatezza della situazione, a non pesare senza motivo sulle procedura di assistenza e a essere totalmente sinceri.
Scremare tra le chiamate di chi si è fatto prendere dall’isteria dalle persone che effettivamente stanno male può essere difficile, ma almeno nella zona rossa dovrebbe essere garantita l’assistenza primaria ad ogni residente, accelerando la pratica dei test.
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