Lavoro dipendente: è possibile opporsi al trasferimento presso un’altra sede di lavoro

Manuela Margilio

4 Giugno 2014 - 18:03

A quali condizioni può essere disposto lo spostamento del lavoratore dipendente e se è possibile impugnare il provvedimento aziendale.

Lavoro dipendente: è possibile opporsi al trasferimento presso un’altra sede di lavoro

Il trasferimento del lavoratore, inteso come lo spostamento del lavoratore da una unità produttiva ad un’altra della medesima azienda, è regolato in maniera molto rigida dalla legge. In particolare, ai sensi dell’art. 2103 c.c., il trasferimento può essere attuato solo in presenza di “comprovate ragioni tecniche organizzative o produttive”.
Presupposto della norma è che, nonostante la modifica del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa, resti invariato il datore di lavoro.

Per costante orientamento giurisprudenziale il lavoratore dipendente può essere trasferito solo qualora il datore di lavoro sia in grado di dimostrare:

  • l’inutilità di tale dipendente nella sede di provenienza;
  • la necessità della presenza di quel dipendente, con la sua particolare professionalità, nella sede di destinazione;
  • la serietà delle ragioni che hanno fatto cadere la scelta proprio su quel dipendente e non su altri colleghi che svolgano analoghe mansioni.

Tali ragioni devono essere portate a conoscenza del dipendente mediante comunicazione scritta, prima del trasferimento e devono essere esposte in maniera dettagliata. Qualora la lettera non contenga le suddette motivazioni il dipendente può richiederle espressamente e dovranno essere comunicate dal datore di lavoro entro 5 giorni dalla richiesta.

Limiti per talcune categorie di lavoratori
Per talune categorie il legislatore ha disposto delle maggiori limitazioni al potere di trasferimento del datore di lavoro in ragione della loro peculiarità:

  • dirigenti sindacali: l’art. 22 Statuto dei lavoratori dispone il previo nulla-osta al trasferimento del lavoratore da parte della associazione di appartenenza;
  • lavoratore che fruisce del congedo per maternità o paternità: l’art. 56 d. lgs 151\2001 che stabilisce per tali lavoratori il diritto di essere trasferiti alla stessa unità produttiva o in altra dello stesso comune;
  • lavoratore Handicappato e congiunti che lo assistono (anche non conviventi): art.33 della l. 104\1992 prevede il necessario consenso del lavoratore al trasferimento, nonché, ove possibile, il diritto di scegliere la sede più vicina al domicilio.

Quello dello spostamento dei lavoratori, è una tematica che, negli ultimi anni, si intreccia con le situazioni di difficoltà economica delle aziende.

Lo scopo della legge è quello di limitare il più possibile lo spostamento della sede di lavoro viste le possibili ricadute pregiudizievoli sul lavoratore in termini economici, ma anche sul piano familiare.

In mancanza di valide motivazioni, come sopra indicato, il trasferimento può ritenersi illegittimo; in tal caso il dipendente potrà rivolgersi al Giudice del lavoro per opporsi al provvedimento e il giudice potrà, se ritiene, disporne l’annullamento.

Il giudice, tuttavia, non ha alcun potere di controllo nel merito delle suddette ragioni, ma deve limitare il proprio sindacato a verificare l’effettiva presenza delle ragioni e l’esistenza di un nesso di causalità tra queste e il provvedimento adottato: non è richiesta la prova circa la inevitabilità del trasferimento.

La prova del danno
Il lavoratore che assume di aver subito un pregiudizio per l’illegittimo trasferimento deve provare il danno non patrimoniale da lui subito. Dunque, il danno non è provato per il solo fatto del trasferimento, ma bisogna documentare il peggioramento delle condizioni di vita.

Il rifiuto del lavoratore
In merito alla possibilità di rifiutarsi ad attenersi a quanto disposto dal provvedimento di trasferimento se ritenuto non adeguatamente motivato, la giurisprudenza non è costante. In talune decisioni il diritto del lavoratore è stato riconosciuto mentre in altri casi il comportamento del dipendente è stato ritenuto tale da poter comportare un suo legittimo licenziamento.

Cessione del contratto di lavoro
Il trasferimento di cui abbiamo parlato sinora si realizza con lo spostamento da una unità produttiva a un’altra. Non è trasferimento quando invece c’è uno spostamento nella stessa unità, salvo i casi in cui quest’ultima comprenda uffici notevolmente distanti tra loro.

Diverso è il caso in cui nei confronti del lavoratore venga disposto non solo il trasferimento da una sede di lavoro ad un’altra, ma anche il passaggio alle dipendenze di altra società, pur se consociata a quella di provenienza.

In questo caso, più che di trasferimento, deve parlarsi di cessione del contratto di lavoro da una società all’altra, che può essere attuato esclusivamente con il consenso del lavoratore, in mancanza del quale il trasferimento non può essere attuato.
Qualora il provvedimento venga portato ad esecuzione, nonostante l’esplicito dissenso del lavoratore, è possibile proporre ricorso al Giudice del Lavoro per ottenere la revoca giudiziale del trasferimento.

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