Trump ha perso ma il GOP vince in Congresso e nel paese

Glauco Maggi

17 Novembre 2020 - 08:50

La vittoria di Joe Biden non è stata lo «tsunami democratico» che partito e sostenitori si aspettavano.

Trump ha perso ma il GOP vince  in Congresso e nel paese

Il presidente americano per il prossimo quadriennio entrerà in carica il 20 gennaio come vuole la Costituzione, e sarà Joe Biden. I grandi elettori a favore del Democratico hanno superato abbondantemente quota 270, e negli Stati che sono sotto contestazione da parte di Trump Biden vanta distacchi che appaiono incolmabili in eventuali conteggi-bis, cioè dove sono previsti dalla legge locale se il divario è bassissimo: in Georgia, con Trump dietro solo per lo 0,29%, scatta automaticamente la verifica automatica di tutte le schede, ma in Wisconsin Biden è avanti di oltre 20mila voti, in Pennsylvania di 49mila, in Michigan di 146mila, in Arizona di 12mila, in Nevada di quasi 37mila.

Le speranze, meglio le illusioni, di rimonta del repubblicano sono affidate quindi alle cause legali. Finora, anche se ci sono stati casi documentati di irregolarità delle commissioni nelle operazioni di spoglio, dal trattamento “partigiano” delle schede arrivate per posta ai voti di alcune persone defunte, la dimensione degli eventuali brogli da far valere in tribunale non appare tale da ribaltare alcun risultato. E’ sacrosanto che se sono stati commessi dei crimini essi siano provati e i responsabili perseguiti. E che ne sia data pubblicità, affinché il meccanismo del confronto democratico conservi l’affidabilità “tecnico-legale” indispensabile a garantire l’integrità delle future elezioni.

Ma, come si dice in America, a questo punto “move on”, “andiamo avanti”. La realtà va affrontata per quella che è, e peraltro non è affatto tutta a tinte “blu”, che era il sogno del partito di Biden e dei media fiancheggiatori che parlavano di “tsunami Democratico”. La media dei sondaggi a livello nazionale curata da Real Clear Politics dava in media 7,2 punti di vantaggio a Biden il giorno del voto, con i due sondaggisti più celebrati, Nate Silver di FiveThirtyEight.com e il Cook Political Report ancora più sbilanciati, 8 e 10 punti rispettivamente. Invece il distacco reale e’ stato del 3,4% circa. L’addio alla Casa Bianca è una sconfitta secca per Trump, che non può essere minimizzata.

Va, tuttavia, contestualizzata sul terreno politico più generale. Non solo il presidente “esce” con un bottino di oltre 70milioni di votanti, di cui il 79% ha dichiarato di avere scelto proprio lui, e non di aver votato contro Biden. Il quale, all’opposto, deve la maggioranza dei voti che ha avuto, il 51%, ad elettori che volevano solo punire Trump. Il presidente sconfitto rappresenta insomma metà dell’America, ma soprattutto il suo partito incassa due vittorie che non erano state previste dai commentatori del mainstream, e tantomeno dai sondaggisti. Alla Camera, la maggioranza dei DEM era data in crescita di una ventina di deputati, e invece è stato il GOP a conquistarne già sette: c’è ancora in corso lo spoglio per una dozzina di distretti e quindi la futura maggioranza dei Democratici si potrà ridurre ulteriormente. Una debacle.

Nancy Pelosi, la Speaker (presidente) della Camera, ha riconosciuto la sconfitta quando ha detto “abbiamo perso qualche battaglia, ma vinto la guerra della Casa Bianca”. Vero, ma le “battaglie perse” alla Camera hanno indebolito la stessa Pelosi che potrebbe non essere confermata Speaker in gennaio, quando entrerà in carica il prossimo Congresso. Al Senato la posta in gioco era altissima: i Repubblicani avevano una maggioranza di 53 a 47 e Charles Schumer, il capo della minoranza Democratica, confidava, illuso dai sondaggi, di strapparne almeno sei o sette al GOP e di ribaltare la situazione.

Tale era la speranza, o meglio la sicumera, che nel partito di Biden già si discuteva apertamente che cosa avrebbero fatto i DEM in parlamento una volta incassato il controllo combinato di Casa Bianca, Senato e Camera: eliminazione della maggioranza qualificata di 60 senatori per l’approvazione di tutte le leggi; ampliamento della Corte Suprema, che conta 9 giudici dal 1894, per annullare l’attuale equilibrio pro-conservatori di sei a tre, grazie agli ultimi tre giudici nominati da Trump e approvati dal Senato; trasformazione del Distretto di Columbia (Washington DC) e di Portorico, Territorio americano non incorporato, in due nuovi Stati: e ciò porterebbe il numero dei senatori dagli attuali 100 (due per ognuno dei 50 Stati) a 104, con la certezza di creare due senatori Democratici eternamente sicuri dal Distretto di Columbia e due più che probabili da Portorico. Invece, ad oggi, i DEM hanno conquistato 48 senatori, contro 50 dei Repubblicani.

In Georgia, per legge statale, è previsto il ballottaggio, il 5 gennaio, se un senatore non ottiene oltre il 50% nel martedì elettorale di novembre. Che è quanto è successo, ma con i due senatori repubblicani in lizza che hanno ottime chance di vincere. Quindi, se anche solo uno ce la farà (il repubblicano David Perdue ha sfiorato la maggioranza assoluta al primo turno con il 49,7% dei voti) il controllo del Senato resterà nelle mani del GOP. E il suo leader Mitch McConnell, che da capo del Senato detterà l’agenda dei lavori, assicurerà che le conquiste legislative di Trump degli ultimi 4 anni non saranno cancellate. Non solo non passeranno le misure estreme sognate da Pelosi-Schumer che ho citato sopra, ma neppure quelle di stampo socialista care al senatore Bernie Sanders e alla deputata Alexandria Ocasio Cortez.

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