L’uranio raggiunge livelli massimi dal 2015 e dietro la sua corsa si nascondono le scelte di un fondo canadese che ne sta acquistando ingenti quantità
Continua senza sosta la corsa dell’uranio, ormai ai massimi dal 2015. Il metallo ha raggiunto quota 40 dollari e non sembra arrestare il rally che dura ormai da metà agosto.
Solo la scorsa settimana i prezzi dell’uranio sono cresciuti del 15%, rappresentando l’aumento settimanale più grande degli ultimi dieci anni, prima del disastro nucleare di Fukushima nel 2011, che aveva causato una forte riduzione della domanda.
Dietro la crescita della materia prima, utilizzata come combustibile per il nucleare, ci sono le scelte del fondo canadese Sprott Physical Uranium Trust che nei pochi giorni di settembre è già cresciuto del 27% alla borsa di Toronto, dopo che nel solo mese di luglio aveva messo a segno un +111%.
Le scelte del fondo Sprott
All’inizio di quest’anno, la società canadese Sprott, specializzata nel mercato dei metalli, lanciava il suo Sprott Physical Uranium Trus definendolo come il più grande fondo sull’uranio fisico.
In un tweet, datato 8 settembre, inoltre, i canadesi annunciavano il raggiungimento del valore di un miliardo di dollari per il fondo. Si tratta solo dell’ultimo tweet per la società, in quanto nei mesi scorsi Sprott pubblicava continuamente le quantità fisiche di uranio acquistate.
Soltanto il 3 settembre, ad esempio, i canadesi pubblicavano due tweet in cui rispettivamente si annunciava l’acquisto di 1,4 milioni di libbre e 850 mila libbre di uranio. L’attività di acquisto frenetico, dunque, sta favorendo il bull run del metallo, considerando anche che Sprott ha finora accumulato più di 24 milioni di libbre.
Le enormi dimensioni degli acquisti emergono ancora più chiaramente se si considera il volume totale degli acquisti nel 2020 che era arrivato a 92,2 milioni di libbre, secondo quanto riportato da Bloomberg citando l’investitore di uranio Yellow Cake Plc.
Un rally destinato a continuare
Gli acquisti del fondo si inseriscono in un contesto rialzista dell’uranio, causato dall’aumentare della produzione da destinare alla domanda di servizi pubblici che potrebbe non essere coperta a partire dal 2023, secondo quanto calcolato dagli analisti di Raymond James Financial Inc.
Inoltre, la NAC Kazatomprom JSC, il primo estrattore di uranio al mondo, ha annunciato che avrebbe mantenuto la produzione a livelli ridotti fino al 2023, riducendo l’offerta sul mercato.
Nel frattempo si è inserito l’aumento di richiesta di energia a causa della ripresa economica seguita al blocco dovuto al coronavirus, mettendo ulteriore pressione sui prezzi dell’energia. Altre materie prime destinate alla produzione come il gas naturale e il carbone stanno salendo, aggiungendo nuova inflazione sulla catena di approvvigionamento.
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