La peste suina minaccia il territorio piemontese e parte di quello ligure. Il caso che ha portato all’ordinanza del Governo e i pareri degli attori coinvolti.
Si continua a parlare di peste suina e il caso allerta anche le istituzioni.
Giunge in queste ore un comunicato congiunto firmato dal ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli e dal ministro della Salute Roberto Speranza. L’ordinanza certifica il divieto semestrale imposto in 114 comuni di svolgere attività di raccolta di funghi e tartufi, pesca, trekking e mountain bike.
L’area interessata dalla presenza del virus di origine africana comprende attualmente 78 città piemontesi e 36 località liguri; si sta cercando di fare il possibile per rafforzare la rete di monitoraggio sulla presenza del virus. Tra gli interventi consentiti in questi ambienti così circoscritti c’è la caccia di selezione al cinghiale, unica interazione indiretta con gli animali potenzialmente infetti.
La decisione presa dal governo arriva infatti dopo recenti accertamenti che, durante lo scorso fine settimana, hanno portato al ritrovamento di quattro carcasse nell’alessandrino. I cinghiali morti sono stati tutti uccisi dal virus.
Sul fronte economico già si mobilitano i fronti di opposizione, danneggiati dalle tempistiche della misura ma dall’altro si trovano anche posizioni favorevoli che pongono in luce le priorità da considerare.
Come si è arrivati all’ordinanza
Il ritrovamento delle carcasse aveva spinto l’assessore regionale alla Sanità del Piemonte Luigi Genesio Icardi a richiedere al ministero misure straordinarie.
La mobilitazione ha coinvolto l’Asl di Alessandria con una richiesta ai sindaci dei Comuni interessati di rafforzare il più possibile la sorveglianza nei confronti dei cinghiali e dei suini da allevamento. Da quanto si hanno le prime notizie sulla questione pestilenziale è infatti stata innalzato al massimo il livello di allerta e la vigilanza sulle misure di biosicurezza nel settore domestico.
Nonostante non ci siano pericoli diretti per l’uomo, le conseguenze di un possibile aggravarsi delle condizioni sanitarie, comprometterebbe la filiera produttiva del comparto suinicolo e il sostentamento degli operatori del settore.
L’ordinanza nel dettaglio
Le disposizioni presenti nell’ordinanza saranno efficaci per sei mesi in modo tale da consentire «alle attività produttive di continuare a lavorare in sicurezza, fornendo rassicurazioni in merito al nostro export».
Dal punto di vista della vigilanza sull’applicazione delle misure introdotte la stessa sarà assicurata dai servizi veterinari delle Aziende sanitarie locali in collaborazione con le Forze dell’Ordine e solo su richiesta i servizi regionali competenti potranno valutare il parziale svolgimento delle attività vietate.
Monitorando la condizione del patrimonio faunistico e zootecnico suinicolo nazionale si mira a salvaguardare "gli interessi economici connessi allo scambio
extra Ue e alle esportazioni verso i Paesi terzi di suini e prodotti derivati". Come spiega Coldiretti del resto le esportazioni di carni suine e derivati made in Italy ammontano complessivamente a 1,7 miliardi.
Pareri contrari e proposte alternative
Questa rassicurazione sulla preservazione del settore export porta con sé un appunto da parte di Coldiretti.
Il presidente Ettore Prandini commenta la firma dell’ordinanza così come si commenta un’azione poco tempestiva:
«Siamo costretti ad affrontare questa emergenza perché è mancata l’azione di prevenzione e contenimento. Abbiamo ripetutamente denunciato in piazza e nelle sedi istituzionali di fronte alla moltiplicazione dei cinghiali che invadono città e campagne da nord a sud dell’Italia.»
A scanso di equivoci però riprende sottolineando l’importanza di vigilare, anche se tardivamente, «oltre che sul piano sanitario, anche contro le speculazioni di mercato a tutela degli allevatori e del sistema economico ed occupazionale».
Per far ciò si propone quindi la nomina di un commissario in grado di coordinare l’attività dei prefetti e delle forze dell’ordine e si evidenzia la necessità di avviare iniziative a livello europeo in vista delle potenziali perdite sul mercato comunitario, principale attore coinvolto nelle dinamiche del settore.
In opposizione c’è poi Federparchi (Federazione Italiana Parchi E Riserve Naturali) che, in nome della chiusura dei parchi del Beigua e dell’Antola, chiede alla Regione Liguria di cercare soluzioni meno penalizzanti. Queste chiusure secondo il portavoce Costa dovrebbero essere dei «provvedimenti restrittivi quanto più temporanei e provvisori possibili». La misura imposta dovrebbe piuttosto essere graduata sulla base del livello di rischio territoriale.
Si propongono quindi dei validi compromessi:
- sentieri segnalati da poter visitare in assenza di cani
- accesso a gruppi controllati guidati e numericamente limitati (in particolare se diretti a mete precise quali rifugi, altre strutture di accoglienza, beni ambientali, storici ed architettonici).
La sollecitazione non ha ancora raggiunto grande risonanza ma le proposte sembrano ragionevoli; a parità di organico disponibile a lavorare attivamente sui territori, questi spunti potrebbero costituire un’alternativa sostenibile.
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