Da 5 anni gli indici di Wall Street continuano a salire. Ma dopo una fase toro, arriva sempre una fase orso. Gli indizi che dimostrano che la borsa di New York sta per crollare
Sono passati 5 anni da quando Wall Street toccava il proprio minimo storico. 5 anni in cui la borsa di New York ha continuato a salire, mettendo in atto uno dei tori più lunghi della sua storia, una serie di rialzi talmente prolungati e forti da portare gli analisti a chiedersi cosa accadrà quando tutto questo finirà, quando la corsa dell’azionario si fermerà e gli indici borsistici cominceranno a rallentare. Perché se è vero che “historia magistra vitae”, i tori non durano tutta la vita e gli orsi (fasi di ribassi) fanno paura.
Un po’ di numeri
Il 9 marzo 2009 lo S&P 500 toccò i minimi dal settembre 2006, scendendo a quota 676 punti base. Da quel giorno sono passati esattamente 5 anni e l’indice più rappresentativo del paniere americano è salito del 177,6%, mettendo in atto il quinto rally più importante nella storia di Wall Street. La crescita, eccezion fatta per il 2010, è stata graduale: +68,6% a marzo 2010, + 15,7% nello stesso mese del 2011, +3,9% nel 2012, +13,2% nel 2013, +21% a marzo 2014.
(Fonte: finance.yahoo.com)
Da sottolineare che solo negli ultimi 12 mesi, lo S&P 500 ha registrato 50 record, l’ultimo dei quali si è verificato venerdì, quando l’indice delle più importanti aziende americane ha chiuso a quota 1878 punti.
Passando al Dow Jones Industrial Average, il 9 marzo 2009, il listino toccò quota 6.547 punti, il suo livello più basso dal 15 aprile 1997. Da allora l’indice è salito del 151,3%
(Fonte: finance.yahoo.com)
Analizzando poi l’andamento delle 30 società quotate sul DJIA, la miglior performance appartiene ad American Express, che dal 2009 ha guadagnato il 782%, seguita da Walt Disney (+427%) e Home Depot (+352%). La peggiore prestazione se la aggiudicano invece le azioni di Exxon Mobil, che sono salite “solo” del 47%.
Tra gli indici più rappresentativi, finiamo col citare il Nasdaq che, trainato dalle società hi–tech, negli ultimi 5 anni ha messo in atto un incredibile +242%. Al suo interno,spicca Apple, che dal marzo 2009 ha registrato un rally pari a +538,2%.
(Fonte: finance.yahoo.com)
Sottolineiamo però che il record di rialzi non appartiene a nessuno dei tre listini principali. Il risultato migliore è infatti appannaggio del Russell 2000, l’indice delle piccole e medie imprese quotate, che ha guadagnato in 5 anni il 251%.
Tra tori e orsi
I dubbi sul futuro cominciano ad essere parecchi. Ci sono infatti cinque indicatori che dimostrano che tutto potrebbe finire da un momento all’altro:
1) la storia insegna infatti che dopo una fase toro, cioè un ciclo prolungato di rialzi che di solito dura massimo cinque anni, arriva sempre una fase orso, un periodo di contrazione e ribassi. Dei 5 tori vissuti dal 1945 a oggi infatti, solo tre hanno superato il quinto anno di vita.
Per far comprendere al meglio quanto siano fondate le preoccupazioni degli analisti poi, occorre raccontare come si conclusero le ultime due fasi di rialzi: la prima ebbe fine con il celeberrimo Black Monday del 19 ottobre 1987, giorno in cui i mercati di tutto il mondo crollarono improvvisamente. Quello stesso giorno il DJIA perse il 22,61%, il risultato peggiore dal big crash del 1929. Il secondo terminò con la crisi del 2007-2009 che stiamo ancora scontando.
2) Ad avallare ancora di più le tesi che parlano di un probabile crollo arriva inoltre un terzo indicatore rappresentato dagli incredibili guadagni delle aziende della Silicon Valley (Facebook, Twitter e Tesla in primis) che fanno pensare alla bolla Dot-com del 2000, che portò al tracollo dell’indice Nasdaq e alla chiusura di moltissime società quotate.
3) Un altro inizio che gli analisti tengono in considerazione quando prevedono l’inizio di una face di ribassi è il rapporto price/earning, cioè il legame tra il valore in Borsa di una società e i suoi utili. Tra le società dello S&P 500 il quoziente price/earning è pari a 16, il che vuol dire che le azioni di un’azienda vengono comprate ad un valore 16 volte superiore i suoi utili. Questo prezzo è molto vicino al massimo storico, toccato nel 2007, vale a dire poco prima che tutto crollasse. Basandoci poi sui calcoli del premio Nobel Robert Shiller, che si fondano sul rapporto tra il prezzo e gli utili medi degli ultimi 10 anni, le azioni dello S&P 500 vengono acquistate ad un valore 25 volte superiore agli utili. Nel 2007, si era arrivati a 27.5.
4) Altro parametro in analisi riguarda le ripercussioni sull’economia reale. Gli studi dimostrano infatti che gli ultimi 5 anni di rally borsistico hanno permesso di far crescere, e di far arrivare al massimo storico, la ricchezza complessiva degli statunitensi (80.700 miliardi di dollari). Questa ricchezza però si distribuisce in maniera altamente diseguale, interessando solo il 10% della popolazione che possiede l’80% delle azioni quotate a Wall Street. Una peculiarità che ricorda anch’essa gli anni che precedettero la crisi, caratterizzati da una forte disuguaglianza sociale ed economica.
5) L’ultimo indizio è rappresentato infine dalle decisioni prese ultimamente dalla Federal Reserve e cioè la scelta di porre fine al quantitative easing e l’inizio del tapering che potrebbe rallentare la crescita degli Stati Uniti e portare ad un ripiegamento dei mercati.
Gli aspetti positivi
Ma vedere tutto nero sarebbe sbagliato. Altri indicatori, al contrario, lasciano qualche speranza: la discesa del tasso di disoccupazione dal 10% del 2009 al 6,7% di oggi; l’aumento graduale dei prezzi (1,6% dal 2007), la ripresa di molti, importanti, settori dell’economia statunitense, ecc.
Insomma, forse è presto per cominciare a disperarsi, ma un po’ di attenzione non fa mai male.
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