Per il capo della Buba, «la prima P dell’acronimo non significa permanente. E la Bce non protegge la solvibilità degli Stati». Sullo sfondo, l’ipotesi di una coalizione fra Spd, Verdi e Liberali
Il silenzio è finito. E per romperlo, Jens Weidmann ha deciso di lasciare a casa il fioretto. E imbracciare un Ak-47. Non a caso, l’intervista con cui il numero uno della Bundesbank lanciava il suo ultimatum a Christine Lagarde è stata concessa all’edizione domenicale di un giornale notoriamente contraddistinto da una linea editoriale rigorista rispetto alle politiche monetarie come Die Welt.
Fonte: Welt am Sonntag
E una frase su tutte contenuta nel colloquio con il banchiere centrale tedesco dovrebbe scatenare un brivido lungo la schiena: La prima P di Pepp sta per pandemico e non per permanente. E’ una questione di credibilità. Poche parole in grado di rimettere in discussione tutto. E, soprattutto, sufficienti a rivelare sotto una luce di maggior criticità l’indiscrezione rilanciata ieri da Repubblica, rispetto a un Mario Draghi più preoccupato di quanto lasci trasparire rispetto alle dinamiche dell’autunno e quasi appeso a uno spirito da last resort fatalista nei confronti del green pass.
Ma le edicole tedesche, oggi, traboccavano di novità. Perché sulle loro rastrelliere, accanto alla prima pagina della Welt am Sonntag con il viso sorridente di Jens Weidmann, campeggiava quella della Bild am Sonntag, il cui sondaggio settimanale condotto dall’istituto Insa ridimensionava il recupero dei Verdi prospettato dall’indagine demoscopica pubblicata da Focus (solo 2 punti di distacco) ma lanciava un’ipotesi ancora peggiore per Angela Merkel. Ovvero, un possibile governo di coalizione fra Spd, Verdi e Liberali, accreditati oggi di un 48% combinato dei consensi che garantirebbe loro la maggioranza parlamentare necessaria ad eleggere il prossimo capo del governo. E di un sempre crescente apprezzamento personale per il candidato cancelliere dei social-democratici, il ministro delle Finanze, Olaf Scholz.
Insomma, Angela Merkel in pensione e cristiano-democratici all’opposizione. Praticamente, un mondo nuovo degno di Aldous Huxley. Ed ecco che, quindi, i contenuti dell’intervista di Jens Weidmann suonano come un àncora di salvataggio per la Cdu-Csu, poiché totalmente incentrata su un rigorismo dei conti che - anche alla luce dei dati record di Target2 resi noti giovedì proprio dalla Bundesbank - si configura come un assist per le politiche storiche del partito centrista e decisamente in antitesi con il programma espansivo dei Verdi e quello compromissorio in campo europeo della Spd.
Fonte: Bloomberg
Per Weidmann, infatti, la Bce non ha come compito quello di proteggere la solvibilità degli Stati membri. Per questo, dobbiamo avere chiaro e rendere noto in maniera netta - oggi come mai - il fatto che se l’outlook degli prezzi dovesse necessitarlo, la Bce sarà pronta a una stretta della politica monetaria. Ripeto, non possiamo prenderci l’onere di sostenere i costi del finanziamento delle varie nazioni.
Più che una doccia fredda, uno tsunami. Gelido. E se i toni paiono più dialoganti, quando la domanda verte sulla nuova guidance inflazionistica - Non escludo la possibilità di gestione di tassi oltre la media ma insisto in maniera netta sulla necessità di tenere un occhio vigile anche sui rischi derivanti da dinamiche dei prezzi troppo alte e non solo troppo basse e da stimolare -, quando la discussione si sposta sul futuro del Pepp, il numero uno della Buba mette da parte la diplomazia. Interrogato rispetto al cronoprogramma per una normalizzazione della politica monetaria, Weidmann non ha dubbi: La sequenza dovrebbe essere questa: prima si chiude il Pepp, poi si darà il via a uno scale back dell’intero programma App e poi si potranno alzare i tassi.
Praticamente, un linguaggio fra il lunare e il marziano rispetto a quello utilizzato nella stanze di Francoforte, lato Bce, da almeno tre mesi a questa parte. Come reagirà il mercato a queste parole, decisamente nette ed emerse quasi dal nulla dopo settimane di silenzio? Si comincerà una prezzatura rispetto a uno scontro al meeting Bce del 9 settembre o la variante Delta, aggravata nel caso del paziente Grecia da incendi devastanti che hanno - di fatto - compromesso del tutto la stagione turistica, basterà a garantire una granitica corazza alla scelta accomodante di lungo termine di Christine Lagarde e dei suoi consiglieri più colomba, Panetta e Schnabel su tutti?
Escludendo una politica a specchio rispetto alla Fed, sorge il dubbio che da qui alla prima settimana del mese prossimo occorrerà seguire con attenzione l’evolversi della situazione demoscopica in vista del voto del 26 settembre. Una Germania con la Cdu all’opposizione o comunque molto indebolita in seno all’ennesima versione di Grosse Koalition potrebbe garantire campo libero all’ala meno rigorista del board Bce, spingendo anche alleati storici di Berlino come Austria e Olanda a più miti consigli sul Pepp. Tutto pare dipendere dall’andamento della variante Delta.
E il monito alla cautela di Confindustria in tal senso, quasi un mettere le mani avanti rispetto all’ottimismo di Mario Draghi nel suo appello pre-vacanziero agli italiani, sembra far propendere per una navigazione tutt’altro che tranquilla e lineare da qui all’autunno. L’accoppiata fra green pass e proroga dello stato di emergenza, a questo punto, troverebbe un senso. Inquietante, certo. Ma anche pragmaticamente necessario. Siamo nelle mani del virus, forse più che del Pil.
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