Qualcosa sta cambiando nelle politiche di acquisti online a cui siamo abituati, sono sempre più gli e-commerce che addebitano costi per il reso. Ecco quanto si paga e cosa succede.
Sempre più e-commerce stanno dicendo addio al reso gratuito, considerandolo uno strumento abusato, che rappresenta una spesa ingente per le aziende e un grande impatto sull’inquinamento. Le spese di spedizione vengono così spostate a carico dei clienti e detratte dal rimborso, con la speranza che i consumatori inizino a comprare e affidarsi al reso in modo più ragionato.
Molte realtà permettono agli acquirenti di riconsegnare i prodotti nei punti di vendita, cosicché né loro né l’azienda debba farsi carico dei costi di spedizione. Con questa soluzione la spesa è sostituita dal disagio di dover riconsegnare la merce, come deterrente per gli acquisti d’impulso e gli eccessi di resi che ogni giorno mettono in strada camion e camion carichi della merce da restituire.
Questa tendenza si sta facendo sempre più vivida tanto in Italia quanto all’estero, quindi sarà importante fare attenzione alla politica aziendale prima di fare acquisti online. Altrimenti, i costi del reso potrebbero essere a carico dell’acquirente e diminuire il rimborso del prezzo pagato. Nonostante le regole stringenti sui diritti dei consumatori, si tratta di un’opzione perfettamente legale.
Ecco cosa sta succedendo e cosa cambia per gli acquisti online.
Il problema del reso gratuito
Per i colossi degli e-commerce il reso gratuito sta diventando ingestibile, per i grossi costi sostenuti a causa delle spedizioni e della distruzione dei prodotti che i clienti hanno usato o rovinato prima di restituire. Di conseguenza c’è anche un elevato impatto ambientale, causato appunto dallo spreco della merce e dall’ingente traffico di merce.
Pare che approfittando del reso gratuito molti acquirenti stiano abusando di questo strumento, acquistando anche prodotti indesiderati e senza pensarci troppo. Una tendenza deleteria, diffusa soprattutto per i capi di abbigliamento. La National retail federation ha analizzato che i clienti hanno restituito il 17% della merce acquistata nel 2022 – soltanto in America – per costi pari a 816 miliardi di dollari. Ne ha parlato anche il Wall Street Journal, secondo cui le aziende perdono il 50% del loro margine sui resi.
La rivoluzione, però, è partita dal Regno Unito, dove le aziende hanno iniziato ad addebitare i costi di restituzione, con una politica che si è presto diffusa in America. Così Zara e Asos, ma anche Uniqlo, Dillard’s, H%M, Jc Penney, J. Crew, Macy’S e Abercrombie & Fitch hanno stabilito dei prezzi per i resi.
Per lo più si fa riferimento al campo dell’abbigliamento, data la diffusa abitudine di approfittare del diritto di reso per provare i vestiti comodamente a casa, anche se la taglia, il colore o altri dettagli non sono di proprio gradimento. L’Italia sta rapidamente accogliendo questa innovazione e ben presto la lista di e-commerce che chiederanno pagamenti per il reso si allungherà.
Il diritto di recesso negli acquisti online
Spesso si usano i termini reso e recesso come sinonimi, anche se la possibilità di restituire i prodotti nasce da diritti differenti. Non si tratta di una differenza di poco conto, soprattutto alla luce di questo cambio di rotta di multinazionali che può destare parecchie perplessità.
Riguardo all’ordinamento italiano, il Codice del consumo prevede il diritto di recesso, previsto specificatamente per gli acquisti online. Si considera, infatti, che il consumatore non ha tutti i mezzi per verificare che il prodotto sia conforme alla descrizione e quindi in caso di difformità deve potersi difendere.
Così, i clienti possono esercitare il diritto di recesso entro 14 giorni dalla ricezione del bene. Non è necessario fornire spiegazioni o costi aggiuntivi, fatta eccezione per i costi di restituzione. Anche se il diritto di recesso è garantito dalla legge, infatti, il venditore può addebitare le spese di restituzione al cliente (o chiedere che le porti personalmente), a meno che non abbia inizialmente concordato altro.
Il reso gratuito negli acquisti online
Il reso amplia il diritto di recesso con quanto stabilito dal venditore. Può prevedere tempi più lunghi, limitazioni a seconda delle motivazioni e diverse ripartizioni dei costi.
Il reso prevede comunque un rimborso, perciò si parla di reso gratuito quando il venditore si fa carico anche dei costi di spedizione per la restituzione. Si tratta di un’abitudine molto diffusa, ma come forma di cortesia verso i clienti e politica aziendale per nulla obbligatoria.
Non a caso, il reso è spesso previsto dai venditori anche nei negozi fisici, con l’obbiettivo di tutelare la soddisfazione del consumatore e fornire un servizio trasparente.
Quanto costa il reso in Italia
Il reso prevede il rimborso del prezzo pagato a fronte della restituzione dell’articolo, secondo le regole previste dal contratto. Stanno però diventando sempre più frequenti gli addebiti per la spedizione della merce al rivenditore, ma non è semplice quantificarli in modo univoco.
Le spese di spedizione sono determinate da numerosi fattori, ma a volte i costi per gli acquirenti rappresentano più importi simbolici che un completo addossamento della consegna. Per esempio, Zara chiede un contributo di 4,95 euro detratti dal rimborso per ogni restituzione, dando però la possibilità di riconsegnare la merce gratis in negozio.
Nel Regno Unito, invece, Zara addebita 1,95 sterline se i clienti restituiscono il prodotto tramite punti di consegna gestiti da terze parti.
Yoox, invece, chiede sempre che il reso sia a carico dei clienti e lo detrae dal rimborso. Così anche Amazon, che specifica “Se restituisci l’articolo in conformità a quanto illustrato, avrai diritto di ottenere la restituzione del prezzo pagato per l’acquisto del prodotto che viene restituito (sono escluse le spese di spedizione sostenute)” equiparando i costi.
H&M, invece, offre il servizio gratuito a tutti i membri aderenti al programma fedeltà. Per gli altri, le spese di restituzione costano 2,99 euro, detratti dal rimborso.
Abercrombie ha invece optato per un vero e proprio limite ai resi, avvisando i clienti che dal 24 gennaio il reso dei prodotti (con cambio o rimborso) sarà possibile soltanto in negozio o con il corriere scelto da loro.
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A cosa fare attenzione
Le compagnie stanno cercando di tutelare i propri profitti, dando al contempo un’importante lezione a chi acquista abitualmente online. Le consegne della merce hanno un notevole impatto sull’inquinamento ambientale, che aumenta ancora se i prodotti sono stati usati e non sono più vendibili.
Bisognerebbe quindi stare più attenti e comprare in modo più consapevole e mirato. In ogni caso, da oggi è bene fare attenzione alle politiche dell’e-commerce per non subire un’inattesa riduzione del rimborso. Ogni sito web in cui acquistare merce ha una sezione dedicata alle politiche di reso, che è bene consultare prima di acquistare.
Lì sono indicate le condizioni per il reso e il cambio della merce, con gli eventuali costi. In caso di dubbio, è bene contattare il servizio clienti per chiarimenti. Dal momento in cui le condizioni contrattuali sono pubbliche, non si può poi opporsi al pagamento. È responsabilità del cliente verificare la normativa del negozio e organizzare gli acquisti di conseguenza.
Oltretutto, spesso vengono indicate modalità di reso più convenienti, tramite punti di ritiro di terze parti o restituzione in negozio. È comunque importante assicurarsi che la merce sia in buono stato, così come è stata ricevuta (anche per ottenere l’intero rimborso).
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