Assegno di inclusione, che succede se uno o più componenti iniziano a lavorare? E cosa devono fare? Ecco la guida Inps con tutte le istruzioni.
Con il messaggio n. 3624 del 31 ottobre 2024 l’Inps fornisce una guida chiara su cosa deve fare chi inizia a lavorare e nel frattempo prende l’Assegno di inclusione, la misura che dal gennaio scorso ha sostituito il Reddito di cittadinanza, nonché su quali sono le conseguenze per coloro che non rispettano le regole.
Per quanto infatti l’Assegno di inclusione non sia incompatibile con lo svolgimento di un’attività lavorativa (anzi, fino a 3.000 euro è persino cumulabile), in capo ai componenti del nucleo familiare ci sono degli obblighi da rispettare, compreso il dare tempestiva comunicazione dell’avvio di un’attività lavorativa, tanto come autonomo che come dipendente, nonché di quanto si prevede di guadagnare.
In caso contrario l’Inps si riserva di applicare delle sanzioni che nei casi più gravi possono avere anche dei risvolti penali. A tal proposito, con il recente messaggio l’Istituto ha fatto chiarezza su cosa deve fare chi inizia a lavorare e quali sono i termini oltre i quali scatta la sanzione. Una guida utile per tutti coloro che pur lavorando guadagnano talmente poco da giustificare il diritto a un’integrazione mensile, pagata appunto sotto forma di Assegno di inclusione.
Per chi valgono le regole in caso di avvio di un’attività lavorativa
Prima di tutto è importante sottolineare che le regole seguenti valgono per tutti i componenti del nucleo familiare: l’avvio di un’attività di lavoro, infatti, incide direttamente sul reddito della famiglia, parametro fondamentale per valutare se si ha diritto o meno all’Assegno di inclusione e di che importo si tratta.
Non bisogna quindi commettere l’errore di pensare che gli obblighi valgano solo per chi ha fatto domanda di Assegno di inclusione, in quanto in ogni caso è tutta la famiglia a esserne coinvolta.
Cosa fare quando si inizia a lavorare mentre si prende l’Assegno di inclusione
Il diritto all’Assegno di inclusione viene riconosciuto sulla base di specifici requisiti che devono essere sì posseduti dal nucleo familiare al momento in cui si presenta la domanda, ma devono essere anche mantenuti per l’intera durata di fruizione del beneficio.
Ecco perché in caso di avvio di un’attività lavorativa, che inevitabilmente comporta un aumento del reddito familiare, è obbligatorio darne comunicazione all’Inps in modo che possa fare le dovute valutazioni.
Più precisamente, è l’articolo 3, comma 5, del decreto legge n. 48 del 2023, a stabilire che in caso di avvio di un’attività di lavoro dipendente da parte di uno o più componenti del nucleo la parte interessata deve provvedere a comunicare all’Inps il reddito derivante dall’attività, entro un termine di 30 giorni dalla data di avvio.
Comunicazione che va data utilizzando il modulo Adi-Com-Esteso.
Si ricorda che il suddetto obbligo vale anche per coloro che avviano percorsi di politica attiva del lavoro che prevedano indennità o benefici di partecipazione (come nel caso del Supporto per la formazione e il lavoro) anche di durata inferiore a 1 mese, con la sola esclusione dei tirocini di inclusione inseriti dai servizi sociali nei patti di inclusione e registrati nella piattaforma GE.PI, o che prevedano la presa in carico dai servizi sociali e sanitari.
Cosa succede una volta inviata la comunicazione?
Con l’invio della comunicazione riguardante lo svolgimento dell’attività lavorativa l’Inps viene informata del reddito che presume percepire da quella attività e lo aggiunge al reddito familiare già comunicato al momento della domanda.
In quel caso effettua una nuova valutazione, accertandosi che nonostante i nuovi guadagni il nucleo familiare sia ancora sotto la soglia prevista per beneficiare dell’Assegno di inclusione che ricordiamo essere pari a 6.000 euro l’anno moltiplicati per il parametro di scala di equivalenza (pari a 1 nel caso della persona sola).
Il tutto considerando però che 3.000 euro lordi annui, calcolati per l’intero nucleo familiare, non vengono considerati. Quindi chi guadagna meno di questa somma può stare tranquillo perché non ci sono conseguenze sull’Assegno di inclusione, mentre nel caso di guadagni superiori viene conteggiata solo la parte che supera i 3.000 euro.
Quindi, con l’avvio di un’attività lavorativa possono esserci diversi scenari:
- l’Assegno di inclusione non varia se il guadagno è pari o inferiore a 3.000 euro l’anno;
- l’Assegno di inclusione si riduce nel caso in cui il guadagno sia superiore a 3.000 euro ma comunque non tanto da comportare un superamento delle soglie reddituali previste dalla normativa;
- l’Assegno di inclusione si perde laddove il guadagno sia sufficiente per comportare il superamento del limite consentito.
leggi anche
Assegno di inclusione tolto subito a chi commette uno tra questi errori (elenco completo)
Cosa rischia chi non invia la comunicazione
Come spiegato dall’Inps con il messaggio in oggetto, decorso il termine di 30 giorni dall’avvio dell’attività, come l’Istituto può facilmente desumere dall’invio della comunicazione obbligatoria che ogni datore di lavoro fa al momento dell’assunzione, scatta la sanzione nei confronti di coloro che non hanno assolto al suddetto obbligo.
Nel dettaglio, in prima istanza l’Inps provvede a sospendere i pagamenti dell’Assegno di inclusione, fino a quando il lavoratore non si mette in regola inviando l’apposita comunicazione. Ha tempo 3 mesi per farlo, scaduti i quali la prestazione decade.
A tal proposito, l’Inps ha avvertito tutte le famiglie che si trovano in questa situazione del fatto che a partire dal mese di giugno sono state avviate le attività di controllo: pertanto chi non ha ancora inviato la comunicazione con modello Adi-Com-Esteso deve farlo subito se non vuole correre il rischio di una sospensione, o peggio di una revoca, dei pagamenti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA