Assegno di inclusione, può farne domanda chi lavora in nero?

Simone Micocci

18 Marzo 2025 - 15:34

Ecco cosa succede se chi percepisce l’Assegno di inclusione lavora in nero, le conseguenze e la differenza con il lavoro in regola.

Assegno di inclusione, può farne domanda chi lavora in nero?

L’Assegno di inclusione è una misura assistenziale rivolta ai cittadini in condizioni di fragilità, che mira a fornire un sostegno economico e al contempo incentivare un percorso di inclusione sociale e professionale. Proprio per queste ragioni non è uno strumento necessariamente incompatibile con l’attività lavorativa, a condizione che quest’ultima non sia sufficiente a risanare la condizione di povertà e indigenza. Ci sono quindi precisi criteri da rispettare anche dal punto di vista reddituale, trattandosi di una misura riservata prettamente alle fasce più fragili della popolazione, con un carattere temporaneo.

Si tratta di un aiuto pensato proprio per risollevare i cittadini in difficoltà e favorire percorsi di inserimento lavorativo. Queste caratteristiche si traducono in vincoli ben precisi per i beneficiari, che devono attenersi alle finalità e ai limiti della misura.

L’importo dell’Assegno di inclusione è comunque piuttosto ridotto, condizione che porta tanti beneficiari a trovare soluzioni alternative, non sempre lecite. Molti percettori del contributo guardano al lavoro nero come opzione per integrare il reddito senza perdere il beneficio, come anche tanti lavoratori in nero in condizioni di disagio si chiedono se possano ottenere l’aiuto. Ecco quali sono le regole.

Chi lavora in nero può prendere l’Assegno di inclusione?

Nel 2025 con la nuova legge di Bilancio sono stati modificati i requisiti d’accesso all’Assegno di inclusione. Dal punto di vista reddituale, non bisogna superare un reddito annuo di 6.500 euro, cifra da moltiplicare secondo la scala di equivalenza in base alla composizione del nucleo familiare. Quando quest’ultimo è formato esclusivamente da persone con più di 67 anni di età, oppure con grave disabilità, invece, il limite sale a 8.190 euro. Si tratta di cifre molto ridotte, ma comunque non incompatibili con una minima attività lavorativa. Nel dettaglio, è possibile percepire l’Adi se non si guadagnano più di 3.000 euro lordi l’anno, con un lavoro privo di carattere fisso e continuativo.

Da questo punto di vista, il lavoro nero non è necessarialmente incompatibile, ammesso che rientri in questa cifra. Bisogna però guardare alla questione pensando alla richiesta dell’Adi dopo aver lavorato in nero, quindi senza intenzione di proseguire l’attività lavorativa irregolare. In questo caso, è bene tenere a mente quanto stabilito dall’articolo 8 del decreto-legge n. 48/2023, dedicato proprio alle sanzioni e alle responsabilità legali dei percettori.

Il primo comma, in particolare, punisce con la reclusione da 2 a 6 anni (salvo che il fatto costituisca altri reati più gravi) chi usa dichiarazioni e documenti con informazioni non vere oppure omette le informazioni dovute. Il secondo comma, inoltre, sanziona la mancata comunicazione delle variazioni reddituali e patrimoniali con la reclusione da 1 a 3 anni, specificando proprio “anche se provenienti da attività irregolari”. Quindi, chi ha percepito fino a un certo momento redditi da lavoro nero è comunque tenuto a dichiarare i propri proventi se richiede il beneficio, assicurandosi che corrispondano al vero. I controlli ai beneficiari sono molto stringenti e dedicati con grande attenzione al contrasto del lavoro irregolare, che resta comunque vietato.

Trattandosi appunto di lavoro irregolare non è infatti possibile assicurare il rispetto dei requisiti previsti dalla legge per avere diritto al beneficio, dovendosi sempre escludere la percezione di questo e altri ammortizzatori sociali per chi lavora in nero. A seconda dei casi potrebbero inoltre essere contestati ulteriori reati, fermo restando la decadenza del beneficio e l’obbligo di restituzione almeno parziale delle somme ricevute indebitamente.

Non è quindi possibile lavorare in nero e percepire l’Adi, fermo restando che il lavoratore dovrebbe provare a tutelarsi secondo le modalità definite dalla legge per il contrasto al lavoro irregolare. Lo stesso sussidio, peraltro, mira a salvaguardare i cittadini dallo stato di bisogno che incentiva l’occupazione irregolare. In sintesi, chi fa richiesta dell’Assegno di inclusione e lavora in nero deve dichiarare in modo trasparente le proprie entrate e in ogni caso interrompere l’attività lavorativa irregolare, affidandosi agli strumenti legittimi, per quanto difficoltoso. Al di là del divieto, che è comunque imposto dalla legge e non trascurabile, si rischia infatti di perdere il beneficio a causa dell’irregolarità anche quando le somme percepite sono davvero esigue.

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