Tra qualche giorno avverrà un qualcosa di storico nella regione baltica: addio alla dipendenza energetica dalla Russia.
L’8 febbraio 2025 segnerà una data storica per i Paesi baltici, che completeranno la loro transizione energetica ponendo fine alla dipendenza dalla Russia integrandosi definitivamente nel sistema elettrico europeo.
L’operazione, denominata Baltic Synchro, vedrà Estonia, Lettonia e Lituania entrare a far parte della rete elettrica europea, un passo cruciale che comporta opportunità ma anche sfide e rischi. Solo lo scorso Natale, infatti, un sabotaggio ha danneggiato un cavo sottomarino che trasporta energia dalla Finlandia all’Estonia, con forti sospetti che dietro l’attacco vi fosse la Russia. Nonostante l’incidente, i Paesi baltici hanno mantenuto la fornitura energetica grazie alle riserve di emergenza, dimostrando la loro capacità di gestione e la prontezza alla transizione.
Questo processo di indipendenza è il risultato di vent’anni di pianificazione e investimenti in nuove infrastrutture, essenziali per garantire la stabilità della rete e fronteggiare eventuali interruzioni. Tuttavia, i rischi rimangono: se entrambi i cavi di collegamento fossero stati compromessi, milioni di persone avrebbero potuto trovarsi senza elettricità in uno dei periodi più rigidi dell’anno.
Per ridurre ulteriormente le vulnerabilità, sono in fase di sviluppo nuovi collegamenti con il sistema elettrico europeo. Tra i progetti in corso, è prevista una nuova connessione con la Polonia entro il 2030 e la costruzione di un terzo cavo sottomarino con la Finlandia entro il 2035.
La Russia ha sabotato il cavo Estlink2?
L’attacco alla rete elettrica baltica avvenuto durante le festività natalizie non è un episodio da sottovalutare. Il cavo sottomarino Estlink 2, che collega la Finlandia all’Estonia, è stato scollegato dalla rete, interrompendo temporaneamente il flusso di elettricità.
Le indagini condotte dalla polizia finlandese hanno rivelato una scia di trascinamento estesa per chilometri sul fondale marino, segno di un’azione deliberata. L’indiziata principale è la petroliera Eagle S, salpata da un porto russo. La nave, che batte bandiera delle Isole Cook, è sospettata di appartenere alla flotta ombra di Mosca, un insieme di petroliere e cargo registrati in paesi terzi, utilizzati dalla Russia per aggirare le sanzioni sul petrolio e, potenzialmente, per operazioni di sabotaggio.
Una recente inchiesta internazionale ne ha trovate almeno 230 di navi, fatiscenti e destinate al riarmo che invece sono state acquistate da nazioni come India, Hong Kong, Vietnam e Seychelles che non aderiscono alle restrizioni economiche imposte a Mosca, ristrutturate e ora pienamente operative e pronte ad operare per conto di Mosca. La Grecia risulta la nazione che ha contribuito maggiormente allo sviluppo della flotta ombra avendo ceduto 127 petroliere. Seguono aziende del Regno Unito con 22 vendite, mentre Germania e Norvegia hanno contribuito rispettivamente con 11 e 8 navi. Il valore complessivo delle vendite supera i 6 miliardi di dollari.
Senza queste vendite, molte navi sarebbero state demolite. Invece sono finite in cantiere, rimesse a nuovo e di nuovo in acqua sotto nuova bandiera e nuovo nome. In questo modo sono riuscite a sfuggire al controllo anti Russia.
La cosiddetta flotta ombra non si limita a trasportare petrolio russo eludendo le sanzioni. Le autorità occidentali ritengono che alcune di queste imbarcazioni vengano impiegate anche per operazioni di spionaggio e sabotaggio. Una di queste è fortemente indiziata di aver sabotato il cavo Estlink 2.
© RIPRODUZIONE RISERVATA