Avvocati, la concorrenza sleale va risarcita

Simone Micocci

20/10/2017

Le norme della concorrenza sleale non valgono solo per le imprese, ma anche per i liberi professionisti come gli avvocati: lo ha stabilito il Tribunale di Milano con una recente sentenza.

Avvocati, la concorrenza sleale va risarcita

Quando la concorrenza è sleale?

Vi è mai capitato di imbattervi in un collega poco corretto che ha approfittato di una collaborazione con il vostro studio per “rubarvi” i clienti? Se sì dovete sapere che avete diritto al risarcimento per il danno subito.

Lo ha stabilito il Tribunale di Milano con la sentenza n°6359 pubblicata il 6 giugno del 2017, ribadendo che coloro che approfittano di una collaborazione con un altro studio per aumentare i propri clienti, commettono non solo una violazione del codice deontologico ma un vero e proprio illecito civile che come tale va risarcito. Un atteggiamento scorretto per il quale l’avvocato può essere condannato per concorrenza sleale.

Ma in quali casi sussistono i presupposti per accusare un proprio collega di concorrenza sleale? La sentenza del Tribunale di Milano fa chiarezza su questo aspetto, ecco cosa hanno stabilito i giudici.

Quando è concorrenza sleale?

Ci sono diverse situazioni in cui un avvocato può essere accusato di concorrenza sleale. Pensiamo ad esempio al praticante che una volta superato l’esame di Stato decide di aprirsi uno studio legale per conto proprio; questo non può conservare i contatti avuti con gli assistiti dell’ex dominus per gestirli personalmente, a meno che naturalmente non chieda il permesso all’ex studio.

È concorrenza sleale anche quella messa in atto dall’avvocato che approfitta della collaborazione con uno studio legale per entrare in contatto con i suoi clienti, convincendoli a passare segretamente sotto la sua assistenza.

Non che servisse la sentenza del Tribunale di Milano per capire che questi atteggiamenti fossero scorretti, d’altronde fare il backup dell’archivio di uno studio legale così da entrare in possesso di tutti i suoi contatti è da sempre considerato un illecito.

La sentenza del Tribunale di Milano è importante per un altro motivo, poiché estende le norme sulla concorrenza sleale - solitamente applicate alle sole imprese - anche ai professionisti.

Anche per i professionisti vale il rispetto della concorrenza leale

Recentemente l’Unione Europea ha riconosciuto ai professionisti la possibilità di partecipare ai bandi per i finanziamenti riservati alle imprese. La giurisprudenza comunitaria quindi riconosce una sorta di sostanziale identità tra l’attività del libero professionista e quella dell’imprenditore e anche l’Italia dovrebbe adattarsi a questo principio.

Il Tribunale di Milano lo ha fatto prendendo atto del fatto che la “concorrenza leale” è uno strumento per la tutela degli interessi generali e non è riservata alle sole imprese. L’importante infatti è che si operi in un contesto - come quello legale - dove è necessario garantire una concorrenza leale tra i soggetti.

Questo naturalmente vale per gli studi legali, poiché questi hanno tutto l’interesse a mantenere i rapporti con la clientela acquisita negli anni di professioni. Clientela che può essere persa, ma non per causa di concorrenza sleale da parte di un collaboratore.

Prima di concludere però dobbiamo riportare un estratto della sentenza della Sezione Imprese del Tribunale di Milano, dove viene fatta chiarezza sul quando un avvocato può rivendicare come “suoi clienti quelli passati verso un altro studio legale.

I giudici del tribunale lombardo a tal proposito hanno sottolineato che “non è detto che l’avvocato che collabori con altri professionisti in uno studio professionale associato possa rivendicare come propri i clienti che egli rappresenta in forza della procura ad litem in ipotesi ricevuta”. Per verificare la sussistenza dei presupposti per l’accusa di concorrenza sleale, quindi, bisogna “indagare sulla complessità dei rapporti tra le parti, ben potendo essere che un cliente si rivolga a realtà strutturate e complesse quali gli Studi Associati con più dipartimenti in forza non della presenza, in quello studio, di un determinato avvocato, bensì del know how vantato dallo stesso nel suo insieme”.

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