L’avvocato che aderisce ad una Convenzione con compensi irrisori commette un illecito disciplinare perché lede la dignità della categoria di appartenenza. Questa la decisione del Consiglio Nazionale Forense.
L’avvocato che accetta un compenso troppo basso subisce delle sanzioni amministrative da parte dell’Ordine di appartenenza. Così ha sancito il Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 246 del 2017, pubblicata sul sito istituzionale solo qualche giorno fa.
Alla base della decisione del Consiglio c’è il fatto che un compenso troppo basso lede la dignità ed il decoro della categoria di appartenenza, sminuendo l’importanza dell’avvocato e del suo ruolo.
Infatti gli avvocati, come tutti i professionisti, hanno diritto a ricevere un equo compenso proporzionato alla quantità, alla qualità, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione resa.
Ma vediamo i dettagli di questa decisione.
La posizione del Consiglio Nazionale Forense
Il Consiglio Nazionale Forense si è espresso in seguito al ricorso di un avvocato che era stato sanzionato dal Consiglio dell’ordine di appartenenza per aver accettato un compenso troppo basso.
Nello specifico, l’avvocato in questione aveva sottoscritto una Convenzione con il Comune molto particolare: il professionista si impegnava ad accettare un compenso di 17,00 euro (comprensivo di IVA e CPA) per ogni tipo di consulenza ante causa e per il patrocinio di cause davanti al Giudice di pace.
Sulla questione è intervenuto il Consiglio dell’ordine degli avvocati che ha sanzionato il professionista per aver mortificato la professione forense accettando un compenso irrisorio. In seguito l’avvocato ha richiesto l’intervento del Consiglio Nazionale Forense che però ha dato ragione al Consiglio dell’ordine degli avvocati, ed ha affermato che il ricorrente aveva posto in essere:
Un comportamento gravemente pregiudizievole del decoro e della dignità professionale che mortifica la peculiare funzione della professione forense e costituisce un modo non corretto per l’acquisizione della clientela.
L’equo compenso dell’avvocato
Il caso in esame fa riflettere sul concetto di “equo compenso”, principio sancito in via generale dall’articolo 36 della Costituzione italiana, che recita:
Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro” e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza dignitosa.
In più l’articolo 2233 del Codice civile aggiunge che:
La misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione.
Il principio dell’equo compenso è stato ulteriormente ribadito dal Decreto fiscale numero 148 del 2017 che sancisce il diritto a ricevere una parcella commisurata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto a tutti i professionisti e a tutti i lavoratori autonomi, iscritti o meno a ordini o collegi, come ad esempio gli avvocati, i commercialisti, gli architetti, i giornalisti, gli ingegneri e così via.
Dunque il Consiglio Nazionale Forense ha respinto il ricorso dell’avvocato in quanto ha riconosciuto la tariffa di 17,00 euro non conforme all’idea di equo compenso e quindi lesiva della dignità professionale dell’ordine degli avvocati.
Il Consiglio si è basato sull’articolo 13-bis della Legge forense che considera non equi tutti i compensi che non sono proporzionati al lavoro svolto e che sono inferiori ai compensi stabiliti nelle apposite tabelle pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale.
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