Il periodico di Exor in edicola pare la riedizione del 2011. E se l’Olanda ci invita ad arrangiarci con lo spread e il bonus slitta a ottobre per chi ne ha più bisogno, spunta la moratoria del rating
Gli sconti in molti casi offrono benefici non giustificati a gruppi specifici di soggetti, determinano effetti distributivi non sempre auspicabili e comportando perdite di gettito rilevanti. Parola della Corte dei Conti. La cui accusa può apparire generica ma, in realtà, ha un destinatario chiaro: Il complesso sistema dei bonus edilizi, i quali solo nel 2020-2021 hanno prodotte prime cessioni di crediti e sconti in fattura per 38,4 miliardi di euro. Insomma, i magistrati contabili bocciano il Superbonus al 110% come incentivo distorsivo, a fronte di una finanza pubblica che, almeno formalmente, sta concentrandosi nell’aiuto alle famiglie meno abbienti e alla aziende maggiormente in difficoltà dopo la pandemia.
Ma c’è bonus e bonus. Quello da 200 euro, ad esempio, prima ancora di essere erogato sta tramutando il suo iter in una specie di caccia al tesoro, tanto da spingere Unimpresa a definire l’intero impianto un caos e costringere l’Inps a emanare una circolare ad hoc. Dalla quale si scopre che i dipendenti pubblici non dovranno fare nulla, se non attendere la cifra sullo statino di luglio e con loro i pensionati, mentre disoccupati, collaboratori e stagionali dovranno attendere ottobre e compilare un modulo di autocertificazione, a sua volta necessario anche per i lavoratori dipendenti privati che dovranno in questo modo certificare di non essere contemporaneamente beneficiari di trattamenti pensionistici. E se i percettori di reddito di cittadinanza rientrano nella categoria dei privilegiati che otterrà l’una tantum già il prossimo mese, il fatto che categorie meno tutelate e più rischio vengano rinviate all’autunno sembra tramutare l’intera operazione in una beffa. Perché per quanto gli stipendi e le pensioni possano essere basse e la platea degli aventi diritti del bonus ampia (quasi 30 milioni di italiani), chiaramente chi ha un lavoro a tempo indeterminato o è titolare di pensione quantomeno può contare su una scadenza fissa di introito. Privilegio che molti collaboratori continuativi si sognano, insieme ad altri lussi come ferie e malattia.
Qualcosa comincia a slittare nel Paese e nella sua narrativa, esattamente come certe automobili da 9 in pagella che sul ghiaccio nascondono con fatica difficoltà nella tenuta di strada? E per quanto sia sbagliato e ingiusto puntare il dito in un’unica direzione, Superbonus e 200 euro sono frutto del governo Draghi e non ascrivibili a errori degli esecutivi passati e ricevuti in sgradita eredità. E a instillare qualche dubbio al riguardo ci sta pensando anche lo stesso Economist che pochi mesi fa incoronò proprio l’Italia di Mr. Whatever it takes come Paese dell’anno. L’ultimo numero del settimanale della Exor sembra infatti una riedizione della primavera-estate 2011, recante in copertina un richiamo al prossimo mal di testa della Bce fra aumento dei tassi e Paesi indebitati da sostenere e nelle pagine interne questo,
Central banks’ battle with inflation today threatens to make the fiscal position of indebted governments more perilous https://t.co/94p1IpXAu8
— The Economist (@TheEconomist) June 24, 2022
un nemmeno troppo velato richiamo a criticità che furono. Le stesse che costrinsero Mario Draghi, all’epoca in altra veste, a tramutarsi in Superman e salvare l’euro e che videro Mario Monti e il suo sobrio loden varcare il portone di Palazzo Chigi, mentre tutt’intorno divampava un incendio da spread.
E se questo non bastasse, ecco che Bloomberg sente la necessità di riportare il parere del primo ministro olandese, Mark Rutte, rispetto proprio al famoso e molto misterioso scudo anti-spread della Bce:
Dutch Prime Minister Mark Rutte said Italy should take charge of managing the cost of its government debt in financial markets https://t.co/rL3J1naYEI
— Bloomberg (@business) June 25, 2022
quasi parafrasando l’uscita incauta di un’esordiente Christine Lagarde alla guida dell’Eurotower, da L’Aja suggeriscono semplicemente che l’Italia si arrangi. Come? Mark Rutte gioca la carta della piaggeria interessata, definendo Mario Draghi la cosa migliore che sia accaduta all’Italia negli ultimi cinque anni e confidando finalmente in un leader che saprà tenere fede alla sua promessa di riforme, in modo da dare un senso e un perché a ciò che definisce the idea that you give something, in return for reforms. Tradotto, fine dei pasti gratis. Primo dei quali, gli acquisti da 20 miliardi al mese in seno all’APP che termineranno giovedì prossimo. E quando Rutte parla in questo modo, tutti sanno che opera in modalità da ventriloquo di una Bundesbank che non può ancora esporsi platealmente.
E una conferma indiretta del clima tutt’altro che idilliaco e di consenso che in realtà starebbe caratterizzando il dibattito interno alla Bce rispetto al nuovo sostegno verso i Paesi maggiormente indebitati, arriva da un ex membro del board e banchiere di primo piano come Lorenzo Bini Smaghi, il quale in un colloqui con il Financial Times ha lanciato il seguente amo:
cancellare di fatto i rating per gli assets governativi dell’eurozona utilizzati come collaterale per le operazioni di finanziamento. Una manna, ad esempio, per quella Grecia che ha goduto di un’esenzione ad hoc nella partecipazione al programma anti-pandemico ma che ancora attende ancora l’investment grade dal suo ritorno dall’inferno. Di fatto e più in generale, una più elegante, sofisticata e discreta soppressione del premio di rischio, poiché l’accettazione a priori del debito di un Paese da parte della Banca centrale non solo toglie qualsiasi valore a un potenziale downgrade ma rende anche lo spread poco più che un termometro rotto. Il timore? A mezza bocca, alcuni operatori cominciano a temere seriamente un effetto tetto sul gas rispetto allo scudo anti-spread. Ovvero, il rischio enorme di aver venduto la pelle dell’orso prima averlo catturato.
E per finire e restando proprio in tema energetico, questo grafico
mostra l’altro, enorme azzardo che Mario Draghi pare aver messo sul tavolo, escludendo fin da ora ogni possibile emergenza legata a scorte e approvvigionamento di gas per il prossimo autunno-inverno. Attualmente, le scorte italiane sono inferiori a quelle tedesche, le quali - stante il peso esorbitante dell’industria energivora nazionale - entro il 1 novembre devono arrivare però al 90% e non all’80% per garantire sicurezza. Bene, ad oggi la Germania ha già fatto scattare il secondo livello del piano di emergenza energetica, mentre l’Italia millanta sicurezza nelle sue alternative alla Russia. Come paiono lontani nel tempo i tweet trionfalistici del ministro Brunetta per il Pil al 6%.,
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