Biden arriva con l’accusa dei media per l’incontro con bin Salman e con un consenso ai minimi. Ma il tour è utile anche per Iran e Israele
Il viaggio di Joe Biden in Medio Oriente arriva in un momento estremamente delicato per l’amministrazione democratica. In patria, il capo della Casa Bianca è criticato non solo per la situazione interna, tra un consenso in declino ed economia in difficoltà, ma anche per la decisione di andare a Riad dal principe Mohamed bin Salman. L’erede al trono dell’Arabia è considerato il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, ucciso dopo essere entrato nel consolato saudita a Istanbul. E in campagna elettorale, Biden aveva promesso che avrebbe considerato il Paese un “paria” della comunità internazionale senza chiarimenti su quell’assassinio e senza il rispetto dei diritti umani.
Le difficoltà di Biden sono visibili anche sul piano internazionale. In Medio Oriente, il presidente Usa deve dimostrare ai partner locali, in primis a Israele, che non si sta disinteressando di quella regione. Il governo dello Stato ebraico è preoccupato in particolare per le trattative sul programma nucleare iraniano, che procedono a rilento.
Israele è stato chiaro: in caso di mancate risposte, potrebbe predisporre un piano per porre fine alle velleità atomiche degli Ayatollah. Biden tentenna, consapevole del pericolo di un conflitto in Medio Oriente e per cercare di ripristinare una piattaforma di dialogo che Donald Trump aveva interrotto. Ma intanto, da Washington arriva la sponsorizzazione di un sistema di difesa aerea che unisca lo Stato ebraico ai Paesi arabi.
Su tutto, aleggia poi lo spettro della crisi energetica e della guerra in Ucraina. Il prezzo del petrolio è un problema anche per gli Stati Uniti, con un elettorato sensibile al caro-carburante. E le sanzioni alla Russia hanno delle conseguenze anche nei rapporti con gli altri produttori di oro nero: come appunto Riad.
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