Così simili, così diversi: facciamo chiarezza su quali sono le principali differenze tra i due metodi di coltivazione e sui prodotti che ne derivano
Biologico e biodinamico: così simili, eppure così diversi. In un’epoca in cui è sempre maggiore l’attenzione alla qualità del cibo che portiamo in tavola, c’è ancora molta confusione intorno alle varie forme di agricoltura naturale e genuina.
Se è vero che biologico e biodinamico condividono la stessa filosofia e i medesimi valori, ovvero in primis il rifiuto di utilizzare sostante chimiche, è altrettanto vero che i due metodi si differenziano (e non di poco) da un punto di vista regolamentare.
Proviamo allora di fare un po’ di chiarezza.
Agricoltura biodinamica
Ideatore dell’agricoltura biodinamica fu, negli anni ’20, il filosofo austriaco Rudolf Steiner. Da sempre interessato all’esoterismo, Steiner si avvicinò all’agronomia su richiesta dei contadini dell’epoca con l’intento di incrementare la produzione dei propri terreni. Fu così che cominciò a gettare le basi sulle quali si svilupperanno in seguito le pratiche più conosciute tra gli agricoltori biodinamici.
Secondo Steiner, in particolare, la fattoria altro non è che un organismo vivente, in cui ogni singola parte (contadini, animali e piante) contribuisce al benessere del tutto. In altre parole, tra i principali obiettivi dell’agricoltura biodinamica c’è la nascita di un sistema dove tutti gli elementi sono interconnessi e mantengono allo stesso tempo un legame con la natura, così da preservare la biodiversità e la fertilità dei terreni.
II princìpi dell’agricoltura biodinamica sono quindi:
- la rotazione delle colture, in modo da alternare la coltivazione di piante che migliorano la fertilità del terreno con altre che lo impoveriscono;
- l’osservazione delle fasi lunari e dei cicli planetari nella semina e nella coltivazione (secondo gli studi di Steiner, così come il sole fa crescere le piante e la luna influenza il contenuto idrico degli organismi, allo stesso modo i pianeti influiscono su metalli, rocce, piante e animali);
- divieto di utilizzare ogm, concimi chimici e pesticidi, comprese le sostanze consentite nel biologico, come il rame e l’acido citrico (va ricordato ad esempio che nel biodinamico non esistono piante infestanti da estirpare, perché tutte sono utili);
- l’utilizzo di preparati, ossia compost biodinamici autoprodotti per la concimazione.
A questo proposito, il più conosciuto è il cornoletame: si tratta di letame inserito all’interno di un corno di vacca che abbia partorito almeno una volta e che viene tenuto sotto terra durante il periodo invernale. Una volta estratto, il preparato viene “dinamizzato” con acqua e spruzzato sulla terra.
In questo modo, secondo i principi dell’agricoltura biodinamica, l’energia astrale concentrata nel cornoletame contribuisce a rendere più fertile il terreno coltivato.
Leggendo questo elenco è facile intuire perché la comunità scientifica consideri ancora oggi l’agricoltura biodinamica una pratica pseudoscientifica da non confondere con il biologico, che al contrario si basa su evidenze scientifiche.
Ed è qui che risiede infatti la principale differenza tra i due metodi: nel caso del biodinamico, l’unica che può fornire una certificazione ai prodotti ottenuti seguendo le linee guida dell’agricoltura biodinamica è l’associazione Demeter, mentre nel caso del biologico la certificazione è regolamentata da leggi italiane ed europee che disciplinano la produzione, la distribuzione e la commercializzazione dei prodotti bio.
Ma non solo: proprio per rimarcare la differenza tra i due metodi, nel Ddl Agricoltura con metodo biologico, approdato nel febbraio 2021 alla Camera dopo il passaggio in Senato, su richiesta del mondo scientifico è stato eliminato ogni riferimento all’agricoltura biodinamica, considerata una pratica priva di fondamenti scientifici e che rasenta superstizione ed esoterismo.
L’Unione Europea definisce agricoltura biologica quel metodo agricolo volto a produrre alimenti con sostanze e processi naturali; ciò significa che tende ad avere un impatto ambientale limitato, in quanto incoraggia a usare l’energia e le risorse naturali in modo responsabile.
In altre parole, per essere definito biologico un prodotto agricolo deve essere coltivato su terreni lontani da fonti di contaminazione e senza l’utilizzo di prodotti chimici come fertilizzanti, diserbanti e insetticidi.
Nel caso di prodotti di origine animale, deve provenire da bestiame nutrito con mangime non trattato chimicamente, senza l’uso di antibiotici, ormoni o altri stimolanti della crescita.
Solo gli alimenti che rispettano queste direttive possono ottenere il bollino bio ed essere venduti come tali.
In termini di numeri, il comparto del biologico italiano oggi conta più di 70mila produttori, per un valore di mercato che si aggira intorno ai 7,5 miliardi di euro nel 2021 e un’occupazione cresciuta del 71% negli ultimi dieci anni. Gli italiani che scelgono bio sono circa il 64%.
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