“Stop ai bonus inutili”, cosa ne è stato della promessa fatta da Meloni all’inizio del suo mandato? C’è più di una ragione per cui possiamo sostenere che tra Governo ed elettori c’è un “non detto”.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni fin dal suo insediamento ha lanciato diverse accuse per quanto fatto dai governi precedenti in merito ad alcuni bonus “inutili”, promettendo interventi strutturali volti ad “aiutare gli italiani a far fronte all’aumento del costo dell’energia”.
Va detto che un anno dopo non è solo il costo dell’energia di cui tener conto, ma di tutta l’inflazione che tra il 2022 e il 2024 comporterà un netto aumento del costo della vita, tanto da richiedere un intervento diretto del governo volto a sostenere i redditi delle famiglie.
Tuttavia, analizzando quanto fatto dal governo Meloni in merito ai bonus si può notare che non c’è quell’elemento di rottura con il passato che invece era stato promesso. Per quanto con nomi e modalità differenti di erogazione, infatti, anche l’Esecutivo in carica ha dovuto fare i conti con la situazione complicata, perlopiù lato risorse, che hanno dovuto affrontare i governi che l’hanno preceduto.
Ci troviamo quindi nella situazione in cui molti dei bonus attualmente riconosciuti sono in scadenza nel 2024, con scarse probabilità di una conferma per i prossimi anni. E in molti casi non si è neppure intervenuto sulla radice del problema, come ad esempio quando con l’aumento dei costi del carburante si è preferito incrementare il fondo a disposizione per la Carta Dedicata a te anziché tagliare le accise.
A dimostrazione che gli interventi fatti dal Governo Meloni sono di continuità e non di rottura con il passato c’è anche il fatto che i sindacati e le associazioni di categoria hanno puntato il dito contro alcune delle recenti decisioni governative, minacciando più volte scioperi e proteste.
Con questo non significa che mi unisco alle critiche mosse nei confronti del governo: ritengo, infatti, che con le risorse a disposizione sia stato fatto a sufficienza. A essere criticabile semmai è la poca onestà nei confronti dell’elettorato, a cui spesso viene distorta la realtà attraverso dichiarazioni fuorvianti che contribuiscono solamente a generare confusione.
A tal proposito, ho selezionato alcuni aspetti secondo cui si può effettivamente dire che il governo Meloni, lato bonus, non si sta comportando come aveva promesso.
L’emergenza bollette contrasta con il passaggio al mercato libero
Come anticipato, Giorgia Meloni aveva assicurato il massimo impegno del governo per garantire misure di sostegno alle famiglie valide a contrastare l’aumento dei costi dell’energia.
Un problema che per quanto parzialmente rientrato - tanto per il gas quanto per l’energia elettrica si segnalano tariffe al ribasso nell’ultimo periodo - merita di non essere sottovalutato, tant’è che il governo Meloni ha confermato - ma solo per l’energia elettrica - il diritto al bonus sociale per le famiglie con Isee inferiore a 15 mila euro, 30 mila nel caso di chi ha almeno 4 figli a carico.
Ma esclusivamente per il primo trimestre: dopodiché tornerà lo stesso limite applicato per le bollette di gas e acqua, per i quali l’Isee non può superare i 9.530 mila euro, 20 mila euro per le famiglie con almeno 4 figli.
A far riflettere non sono solamente le novità apportate al bonus sociale, quanto più il fatto che il governo Meloni abbia avallato il passaggio dal mercato tutelato a quello libero per circa 4,5 milioni di famiglie, di fatto esponendole ai rischi del mercato concorrenziale con cui in una situazione di scarsa emergenza come quella attuale c’è il rischio di avere una bolletta più alta rispetto a quella garantita nel regime di maggior tutela.
Bonus in busta paga, che succede quando non si potranno confermare?
Una delle misure più importanti tra quelle volute dal governo Meloni è lo sgravio contributivo portato al 7% e 6% per chi ha una busta paga con importo lordo inferiore rispettivamente a 1.923 e 2.692 euro.
Mettendo da parte anche qui la poca chiarezza di comunicazione messa in campo da alcuni esponenti del governo - ad esempio Matteo Salvini che ha parlato di “busta paga più alta di 100 euro nel 2024” quando più volte abbiamo spiegato che non è così in quanto vi è continuità rispetto al 2023 e non un ulteriore incremento - quel che preoccupa è la scadenza fissata al 31 dicembre 2024.
Per confermare lo sgravio contributivo, infatti, serviranno almeno 10 miliardi di euro, cifra che l’Italia non potrà più recuperare dall’extra deficit viste le nuove regole per il Patto di Stabilità. In caso contrario le buste paga rischiano di abbassarsi, per un importo che nel peggiore dei casi può arrivare a 100 euro in meno ogni mese.
Altri 20 euro in meno al mese (260 euro l’anno) poi si aggiungono in caso di mancata conferma delle nuove aliquote Irpef, misura che da sola è costata altri 5 miliardi di euro per il solo 2024 e che necessita di un ulteriore stanziamento in legge di Bilancio per essere confermata.
Il tutto mentre in questo periodo non sembra esserci stata quella spinta ai rinnovi contrattuali che invece era stata auspicata.
A tal proposito, il governo ha bloccato qualsiasi possibilità di introdurre un salario minimo tutelato per legge, puntando però sullo strumento del trattamento economico complessivo minimo calcolato sulla base di quanto riconosciuto dai contratti collettivi più rappresentativi. Per il momento, però, questo esiste solamente su carta: è il governo, infatti, che nei prossimi 6 mesi dovrà pensare a una misura che obblighi i datori di lavoro che sottopagano i propri dipendenti ad adeguarsi ai minimi contrattuali generalmente riconosciuti in quel particolare settore.
Bonus mamme lavoratrici, non è un incentivo ma un premio
Un’altra misura che merita di un approfondimento è lo sgravio contributivo che la legge di Bilancio 2024 riconosce in favore delle madri con almeno due figli. Una misura che permetterà di risparmiare fino a 3.000 euro e che nelle intenzioni del governo dovrebbe rappresentare un incentivo alle nascite.
Tuttavia, per come è stato pensato lo possiamo definire più come un premio per chi ha già una famiglia numerosa, visto che essendo limitato al 2024 (2026 per chi ha almeno 3 figli) difficilmente rappresenterà un incentivo a fare altri figli.
Bonus benzina e trasporti per pochi
Va detto poi che il governo ha circoscritto la percezione di alcuni bonus a un numero limitato di famiglie. È il caso ad esempio del bonus trasporti che così come conosciuto nel 2023 non esisterà nel 2024 in quanto non è stato confermato dalla legge di Bilancio.
Questo, insieme al bonus benzina - che no, non consiste in un taglio delle accise come invece era stato promesso - verrà erogato in favore di circa 1 milione e 300 mila famiglie, quelle che con Isee inferiore a 15 mila euro possono concorrere per l’assegnazione della Carta Dedicata a te confermata nel 2024.
Uno strumento anche questo limitato per un anno che ripercorre nel funzionamento tanti di quei “bonus inutili” che erano stati attaccati dalla presidente del Consiglio, uno su tutti la social card (Sostegno per l’inclusione attiva, carta Sia) introdotta dal governo Renzi.
Reddito di cittadinanza, non è un addio
A livello comunicativo è criticabile anche l’operazione che ha portato dal Reddito di cittadinanza all’Assegno di inclusione e al Supporto per la formazione e il lavoro. Come spiego in questo articolo, infatti, un sostegno alle famiglie bisognose - su cui il governo Meloni ha puntato il dito - resta e permane il rischio che a beneficiarne siano anche i “furbetti” o comunque coloro che sono nella condizione di poter svolgere un’attività lavorativa.
Una stretta c’è, ma non sufficiente da poter dire che c’è stato un netto cambio di passo rispetto al passato.
Pensioni, che fine hanno fatto gli aumenti?
Paradossalmente, in un periodo in cui bisognava assicurare alle famiglie il giusto sostegno per l’impennata dei prezzi, il governo ha tagliato lo strumento che è legato all’inflazione, ossia la rivalutazione delle pensioni.
È bene sottolineare, infatti, che se le pensioni sono aumentate prima nel 2023 e poi nel 2024 è stato per merito di una norma che è stata introdotta nel lontano 2000 che ne adegua annualmente l’importo al costo della vita e non per volontà del governo Meloni.
Anzi, questo è intervenuto tagliando la rivalutazione, riconoscendo anche ai pensionati che percepiscono un assegno di importo compreso tra i 2.270 e i 2.839 euro circa un importo inferiore rispetto a quello spettante dal calcolo originario.
Bonus assunzioni, prima annunciato poi sparito
Ricordate la conferenza stampa post approvazione della legge di Bilancio 2024? In quell’occasione Giorgia Meloni ha annunciato una sorta di superbonus sulle assunzioni, una deduzione del 120% per le aziende che assumono con contratto a tempo indeterminato. Un’agevolazione che sarebbe salita al 130% in caso di assunzione di donne, disabili, under 36 e percettori di Assegno di inclusione.
Peccato però che nel testo definitivo della manovra questa super deduzione non ci sia. Il problema è che mentre la presunta introduzione era stata acclamata in diretta Tv, alla mancata concretizzazione della misura non è stata data la stessa pubblicità.
Il che dovrebbe far riflettere, anche perché a farlo è proprio il governo che ha sempre sostenuto che la povertà si contrasta con il lavoro e non con i bonus, salvo poi non potenziare i bonus assunzione rispetto a quanto era stato fatto dai precedenti governi.
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