L’intelligenza artificiale va avanti, specie sul fronte conversazionale, generando nuove opportunità lavorative dove creatività e progettazione vedranno sempre l’uomo sempre protagonista.
“Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire.”
Così recitava Rutger Hauer nel ruolo dell’androide Roy Batty durante lo struggente monologo finale di Blade Runner, capolavoro di Ridley Scott, ambientato nel 2019 e che, proprio quest’anno, ha compiuto 40 anni. Un film in un certo senso avveniristico che ben inquadra, e in qualche modo anticipa, l’evoluzione che ha subito la tecnologia in senso ampio e l’intelligenza artificiale in quello più stretto. Immaginare, quindi, conversazioni uomo-macchina basate su aspetti sempre più emozionali e interattivi non è più una fantasia, ma una realtà a portata di mano e voce.
Secondo una ricerca del Time nel 2024, l’industria dell’intelligenza artificiale che leggerà le emozioni varrà circa 56 milioni di dollari. Un primo settore occupato proprio dalle “conversazioni” all’insegna dell’AI, saranno i call center che si svuoteranno quasi in toto dalla presenza umana per lasciar posto a macchine in grado di parlare e rapportarsi con gli esseri umani.
Un’evoluzione sicuramente molto suggestiva, a tratti spaventosa, che ha aperto le porte a nuove professionalità alle quali è richiesta tanta creatività e capacità di progettazione. Una di queste è quella del conversation designer. A questo nuovo lavoro, dal titolo omonimo, è dedicato l’ultimo libro di Antonio Perfido edito da Franco Angeli; dalla sua lettura, nonché dal confronto diretto con l’autore, sono scaturite alcune riflessioni sui futuri ambiti di applicazione, senza tralasciare l’aspetto etico. In buona sostanza chi è il conversation designer?
Il conversation designer e la doppia faccia dell’intelligenza artificiale conversazionale
Una delle parole chiave per comprendere questa nuova figura professionale è “consilienza”, termine attribuito a William Whever, che indica la concordanza proveniente dall’incontro tra materie scientifiche e umanistiche, attitudine invocata anche da Steve Jobs durante uno dei vari lanci della Apple. Possiamo quindi dire che il conversation designer, per il quale il mercato del lavoro attuale pare piuttosto florido, è la summa di più discipline insieme dove, però, a prevalere devono essere le soft skills come, ad esempio, la capacità di empatizzare nell’immaginare conversazioni emozionali da restituire a una macchina.
Proprio su questo aspetto si aprono una serie di riflessioni e considerazioni, visti i tempi che corrono e una filosofia del lavoro che sta vedendo una profonda trasformazione. Come evolveranno, infatti, tutta una serie di settori se assistenti vocali, smart speaker o umani artificiali saranno sempre più in grado di “comprendere” la componente umana? Sarà un bene o un male?
Non siamo in grado di dare una risposta netta ed esaustiva, la realtà dei fatti è che di qui a poco tale evoluzione rappresenterà la normalità e, in quanto tale, costituirà un’ennesima rivoluzione, specie nel mondo del lavoro; molte attività saranno sostituite dalle macchine e, come la storia insegna in presenza di grandi cambiamenti e rivoluzioni tecnologiche (pensiamo all’introduzione della carta stampata), la creatività dell’uomo avrà la meglio e creerà ulteriori nuove opportunità e professioni.
Di fatto ci piace pensarla così, fiduciosi che la mente umana resti attiva e desiderosa di nuovi stimoli e non si adagi troppo su una pericolosa indolenza, colpevole di far scemare motivazione e obiettivi. Non vogliamo demonizzare la tecnologia o il progresso, anzi, ne siamo fieri portabandiera, ma non scordiamo che essa deve restare sempre al nostro servizio e non il contrario.
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