Netto aumento del rendimento sul titolo short term, 86 centesimi in più rispetto all’ultima asta. La fine degli acquisti dell’Eurotower è ormai alle porte e se lo scudo si rivelasse un paravento...
Silenzio pressoché tombale sul collocamento del BTP Italia. Dopo settimane in cui la pubblicità del bond indicizzato all’inflazione ha fatto concorrenza a quella del cornetto Algida per frequenza di passaggi, di colpo l’oblio. In effetti, c’è da capirlo. Perché quando l’ultima giornata, quella dedicata agli investitori istituzionali, si chiude con un magro bottino da 2,2 miliardi, oggettivamente i motivi per stappare latitano.
Perché sommati ai poco più di 7 miliardi raccolti nei tre giorni dedicati alla clientela retail, quella raccolta ha portato il totale a 9.4 miliardi. Un fallimento. Nel 2020, il BTP Italia dedicato al finanziamento della lotta alla pandemia di miliardi ne raccolse 22 di miliardi e con condizioni molto meno favorevoli sulla carta, di cui 14 dal retail e 8 dagli istituzionali. Cosa significa tutto questo? Che nonostante incentivi da televendita della Eminflex, gli italiani temono più un altro 2011 dell’inflazione. E stanno lontani dal debito pubblico come Dracula da aglio e luce del sole. E che qualcosa stia cominciando seriamente a incrinarsi nella fiducia che il governo Draghi aveva infuso ai mercati, lo si è capito ulteriormente questa mattina, quando il nostro Paese ha ottenuto dagli investitori un’altra sonora mozione di sfiducia. Il Tesoro ha infatti collocato un BTP Short Term con scadenza 2024 per 4 miliardi di controvalore ma solo garantendo un rendimento in netto rialzo all’1,63%, qualcosa come 86 centesimi più della precedente asta a 2 anni. E il tutto con un rapporto bid-to-cover non certo stellare e pari a 1,58.
D’altronde, you reap what you sow. Raccogli ciò che semini. E quando la tua unica preoccupazione sembra quella di inviare armi a Kiev e mostrarti capofila dei supporters della candidatura dell’Ucraina all’Ue, mentre il tuo Paese è alle prese con una crisi idrica senza precedenti e cui si uniscono l’inflazione che mangia i salari, il nodo del gas che colleziona due di picche con il ciclostile e una capacità di sostegno a cittadini e imprese imbrigliata dai vincoli stipulati per ottenere il Recovery Fund, forse il mercato prezza un premio di rischio. Il quale, fino a ieri, è stato artificialmente compresso dalla Bce. Ma da venerdì prossimo si troverà in mare aperto. Senza salvagente. Certo, lo scudo anti-spread annunciato da Christine Lagarde ha finora evitato quota 300 punti base ma alla vigilia del Forum di Sintra, i medesimi e mitologici mercati cominciano a diventare impazienti. E vogliono dettagli chiari e non solo ipotesi.
Dio non voglia che in Portogallo, la numero uno della Bce si renda protagonista di uno dei suoi mitologici misunderstanding. Sia chiaro: la situazione certamente non è da allarme rosso. Quantomeno, se si ritiene tale soltanto il sostanziarsi dell’inversione sulla curva dei rendimenti. Ma se il decennale benchmark è tornato sopra quota 3.50% e il biennale è volato a 1,63%, forse sarebbe il caso di cominciare ad accatastare i sacchetti di sabbia per creare argini. prima che l’alluvione della sell-off periferica indirizzi il suo punto di caduta sull’Italia. Ed ecco che, infine, questa immagine
sembra mostrare plasticamente un altro ambito di eccessivo ottimismo e conseguente inazione del governo italiano, quantomeno rispetto a quello tedesco, i cui fondamentali macro appaiono vagamente più solidi. Il ministro dell’Economia, Robert Habeck, ha infatti evocato l’immagine di una potenziale Lehman dell’energia all’orizzonte.
Nel commentare la decisione del governo di Berlino di attivare da subito il secondo livello di allarme energetico, Habeck ha messo in guardia da un effetto contagio che parta dal blocco totale da parte di Gazprom e porti al collasso finanziario: Se i gestori saranno costretti a coprire i volumi di richiesta a prezzi sempre più alti, l’effetto sarà quello di un’accumulazione di debito che a cascata generi un processo simile alla margin call su un prodotto finanziario, scaricando chiaramente gli spillovers prima sulle utilities e poi sui cittadini/utenti. Esagerazione? Forse. Anzi, c’è da sperarlo. Perché, altrimenti, sorgerebbe il dubbio che il tracollo senza fine di Saipen e il congelamento dell’Ipo di Plenitude da parte di ENI per deterioramento delle condizioni di mercato possano essere altrettanti segnali di preavviso in tal senso.
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