Le azioni possono crollare e il motivo non sono i tassi di interesse Fed: c’è un’altra causa in grado di innescare uno shock azionario che i mercati non stanno valutando. Un’analisi l’ha svelata.
Azioni in rally o verso un crollo? Wall Street si chiede cosa accadrà nei prossimi mesi, ma c’è un grande rischio che gli investitori sembra stiano ignorando.
Dati sull’inflazione, decisioni Fed sui tassi di interesse, tensioni Usa-Cina e analisi approfondita sulla crescita del dragone sono i temi che dominano attualmente i mercati. Negli Usa, soprattutto, i trader osservano con attenzione l’andamento dei prezzi al consumo e le dichiarazioni dei vari membri della banca centrale, a caccia di indizi su come si evolverà la politica monetaria che ha portato i tassi al 5,50%.
Un ulteriore inasprimento è ancora atteso, con la potenziale possibilità che si trasformi in una stretta al credito preoccupante. La speranza è che ci si avvii verso una pausa, con una programmazione di eventuali tagli dal 2024.
Tuttavia, non ci sono soltanto i tassi di interesse a minacciare la stabilità finanziaria Usa e globale: c’è un rischio legato sempre alla Fed che i mercati stanno sottovalutando, ma che può far sprofondare le azioni.
Le azioni possono crollare per colpa della Fed. E i tassi non c’entrano
Mentre si prevede che la Federal Reserve sia vicina alla fine della sua campagna di aumento dei tassi, la banca centrale prosegue anche con un’altra strategia politica che rappresenta un grosso rischio per il mercato azionario.
Lo ha evidenziato in una nota di ricerca Ned Davis Research, allertando gli investitori che la stretta quantitativa della Fed attraverso le sue riduzioni mensili del bilancio potrebbe intaccare i prezzi delle azioni e di altri asset rischiosi.
Il tema è il Quantitative Tightening, sul quale in pochi si stanno concentrando e che invece può innescare effetti sui mercati.
Dal giugno 2022, la Fed ha ridotto il proprio bilancio di 900 miliardi di dollari a 7,6 trilioni di dollari, e avrebbe agito anche con più forza non fosse stata costretta a iniettare liquidità per 400 miliardi di dollari e contenere la crisi bancaria regionale a marzo.
In questo modo, ovvero riducendo il proprio bilancio e lasciando maturare buoni del Tesoro e titoli ipotecari (e quindi non reinvestindo i proventi), sta sottraendo liquidità ai mercati. La banca centrale ha ridotto il proprio bilancio di circa 80 miliardi di dollari al mese e, secondo NDR, le azioni tendono a dare buoni risultati quando accade l’esatto contrario.
“La liquidità è la linfa vitale dei mercati finanziari...Gli asset rischiosi amano la liquidità. Il continuo drenaggio di liquidità rappresenta un rischio per le azioni e il credito”, ha spiegato Joseph Kalish, chief global macro strategist di Ned Davis Research.
I numeri aiutano a chiarire l’allarme. Secondo l’analisi, quando la Fed ha attuato il QE ed è passata a un regime di ampie riserve, la variazione di 4 settimane delle riserve è aumentata di oltre 62 miliardi di dollari, i rendimenti azionari sono esplosi a un tasso annuo del 31% dal marzo 2009.
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Al contrario, quando le riserve sono diminuite di oltre 38 miliardi di dollari nelle ultime quattro settimane, le azioni hanno faticato e potrebbero ancora essere sotto pressione anche se la Fed sospende definitivamente il suo ciclo di rialzi dei tassi di interesse entro la fine dell’anno.
La banca centrale Usa, infatti, non ha mostrato alcuna indicazione di interrompere il suo programma di riduzione del bilancio. E la sua politica di riduzione del bilancio può avere un grande impatto non solo sul mercato azionario, ma anche sull’economia.
“La riduzione dei titoli riduce le riserve bancarie, il che riduce la liquidità delle banche e limita la loro capacità di concedere prestiti e investimenti”, ha affermato Kalish.
Questo, combinato con gli aumenti aggressivi dei tassi di interesse nell’ultimo anno, aiuta a spiegare l’inasprimento delle condizioni del credito e la ridotta disponibilità delle banche a prestare denaro.
In questo quadro prospettico così complesso, l’allerta per un declino azionario c’è.
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