Il presidente del CDA di Studio Legale Integrato sarà tra i relatori dell’evento organizzato da Money e Swiss Chamber il 5 ottobre a Milano.
I numeri parlano chiaro: il 70% delle imprese con un fatturato compreso tra 20 e 50 milioni di euro ha una matrice familiare. Una su cinque, sarà costretta ad affrontare la questione del cambio generazionale nei prossimi 5 anni.
E delle tante implicazioni legate alla transizione generazionale in azienda si parlerà giovedì 5 ottobre alle ore 9.30 in Via Palestro 2 a Milano nella sede di Swiss Chamber. L’evento è gratuito e aperto al pubblico: è richiesta l’iscrizione a questo link.
Trasizione non scontata
Una «fase delicata, storica», dicevamo, anche se non ha un inizio né una fine, connaturata com’è alla vita di un’azienda che nasce, cresce e si evolve, in tempi differenti rispetto a un’altra. Ma, in un tessuto economico come quello italiano dove si stima che siano oltre tremila le aziende interessate da cambio generazionale, con un’imprenditore su due ormai sopra i sessant’anni, ecco che viene da chiedersi se sia più giusto considerarla una preoccupazione legittima o un’opportunità carica di significato. Dipende dagli occhi di chi la guarda, ovviamente: quelli dell’avvocato Manuel Verde, ospite all’evento organizzato da Money.it il 5 ottobre a Milano dal titolo: “Cambio generazionale: strumenti è opportunità per le imprese”, guardano ancora più in là, in una terza direzione. Dove agire conta più che dare una definizione. E se gli chiedi se il cambio generazionale è un problema o un’opportunità, non esita. «Prefesico dire che è un obbligo. Non si crea qualcosa perché finisca. Se questo accade, e se un’azienda muore, è la conseguenza di un focus mancato».
Perché manca il focus?
Tendenzialmente, il nostro è un tessuto imprenditoriale fatto di pmi, nate come imprese artigiane che via via si sono industrializzate. C’è bisogno di cambiare cultura, mentalità. Di strutturare meglio l’impresa.
Problemi da affrontare?
A volte l’imprenditore è una sorta di padre padrone, che vuole decidere tutto e non accetta di lasciare la gestione in mani terze. In secondo luogo, nelle pmi c’è una scarsa tendenza a managerializzare l’azienda. Bisogna invece farla crescere dal punto di vista manageriale, traghettarla verso una nuova realtà. Serve un cambio di mentalità.
Altrimenti?
Altrimenti parlano i numeri. Uno studio di Boston Consulting, dedicato alle aziende che affrontano il cambio storico senza puntare su innovazione e rinnovamento, dice che in passato la durata media di vita era di 70 anni e tre generazioni. Nel 2000 si era già accorciata a 35. Oggi siamo a 8. Un dato allarmante.
Come affrontarlo?
Bisogna continuamente pensare a nuove linee e a nuove leve. Bisogna immettere aria fresca. Anche contando sul fatto che, quando si parla di cambio generazionale, l’Italia è un paradiso fiscale.
In che senso?
La legge prevede il patto di famiglia: unica deroga al patto successorio che consente, per evitare problemi sociali legati alla chiusura di un’azienda che si trascina con sé i destini di tante persone e famiglie, di pianificare in anticipo il ricambio, così da garantire continuità. La successione va programmata, anticipata attraverso l’inserimento di figure che, a tempo debito, saranno poi chiamate a subentrare in toto.
Come fare, nella pratica? Quali sono gli strumenti a disposizione?
Ciascuna impresa è ovviamente un caso a sé. Per favorire il ricambio generazionale, si possono utilizzare gli strumenti societari. Una holding, per esempio, è un modo di managerializzare un’azienda. Oppure il trust, strumento meno utilizzato perché toglie la proprietà: un concetto ancora molto sentito in Italia.
Gli strumenti esistono, ma non sempre si usano per tempo. Non trova?
Esatto. È importante pianificare il ricambio finché si è sereni, senza arrivare all’ultimo, quando mancano tempo e lucidità.
Dunque il ricambio può essere inteso come un’opportunità: ma solo se lo si affronta in anticipo, con consapevolezza?
Certo. Anche perché non possiamo evitarlo. Tutti, prima o poi, siamo soggetti a un passaggio: in questo senso dicevo che è un obbligo.
La domanda però resta: quando? siamo capaci di comprendere il momento giusto, né troppo presto né soprattutto troppo tardi?
Oggi si comincia a intravedere un cambio di mentalità. In un mondo più aperto, più globalizzato, dove è importante “mostrare l’argenteria lucida”, si prova ad avere più cura dell’azienda. L’azienda non può essere qualcosa da tenere per sé: deve confrontarsi con la sua immagine pubblica. Il problema, spesso, è culturale.
Di chi è la colpa?
A volte è anche di noi professionisti, che ci poniamo a distanza. Non è nella nostra ottica spiegare agli imprenditori i meccanismi e le ragioni per cui operare alcune scelte. Qualcosa, però, sta cambiando: c’è più sete di conoscenza, voglia di capire perché si fa in un modo o in un altro. Non è un caso se le professioni sono in crisi, ma la realtà del coaching no.
Forse c’è anche un problema di comunicazione. Bisogna imparare a parlare un altro linguaggio, più comprensibile?
Senza dubbio. Proprio a tal fine, ho scritto un libro, “Diario di una holding”, allo scopo di aiutare l’imprenditore a capire i principali strumenti di gestione e gli aspetti mentali con cui approcciarvisi. Senza tecnicismo: lo faccio raccontando una storia, proponendo anche degli esercizi che possono aiutare a condurre da una scena esistente a una scena ideale, con la tutela massima come obiettivo ultimo.
Avvocato, in Italia c’è la tendenza a pensare l’azienda come qualcosa da lasciare ai figli, non trova?
È una delle visioni, che proveremo ad affrontare nell’incontro di Milano.
Per dire che cosa?
Posso dire che, in genere, inizialmente si parte con un’aura di sfiducia verso il figlio. Rispetto a un manager, cioè una competenza che si va a comprare, da un figlio ci si aspetta qualcosa di più. E gli si nega il diritto di espressione: non si accetta che abbia una visione differente dalla propria.
Figlio a parte, ci fidiamo davvero del giovane - o forse ne abbiamo un po’ paura?
Il tema vero, in questo processo di rinnovamento e innovazione, è che la figura del giovane è fondamentale, e sempre di più. Ma serve creare degli scalini di carriera, in un percorso di preparazione e acquisizione di competenza. Questo deve valere anche per il figlio: non può essere collocato ai vertici senza un percorso di crescita. È anche un messaggio importante per l’azienda, da non ridurre a mera impresa familiare dove un figlio ha il diritto di prendere decisioni direttive da un giorno all’altro. Fra l’altro, il problema più grosso è quando il figlio è più d’uno. Per il terrore di rovinare l’equilibrio familiare, si rovina l’azienda e la sua continuità. A volte bisogna fare delle scelte.
E quando il figlio è uno solo: qual è la scelta giusta?
Per quella che è la mia filosofia, il più grande regalo che si possa fare a un figlio è la libertà di scelta. L’azienda è un asset, altamente produttivo, e come tale va considerato, scegliendo il modo migliore per continuare a darle valore. La domanda è: avere un’azienda è un onore o un onore?
L’imprenditore italiano è capace di lasciare liberi i suoi figli?
Se vede l’azienda come asset, sì. Bisogna fare uno switch mentale, capire che la produttività di un’azienda esistente può essere a volte anche interrompere un’attività, cederla, investire in qualcos’altro. Serve cambiare paradigma, rispetto agli anni Ottanta.
Ci stiamo riuscendo?
Ci stiamo provando. Oggi si è più attenti ai dati, alle certificazioni, all’innovazione. Tutto ruota attorno allo stesso concetto: l’impresa è un asset, non un figlio. E come tale può andare incontro a diversi destini.
I protagonisti
Swiss Chamber, Camera di Commercio Svizzera in Italia, è un’Associazione di imprese senza scopo di lucro, riconosciuta dal Governo svizzero e dal Ministero dello Sviluppo Economico italiano. Offre supporto presso istituzioni, enti, associazioni di categoria, università e una qualificata rete di imprese e professionisti per lo sviluppo di partnership economiche. Conta circa 400 Soci, tra cui i grandi gruppi svizzeri in Italia, membri dell’Advisory Board, piccole e medie imprese italiane e svizzere e i più autorevoli studi professionali internazionali.
Mazars, partnership internazionale integrata, specializzata in servizi professionali di audit, tax, legale advisory*. Opera in circa 95 paesi in tutto il mondo e conta sull’esperienza di più di 47.000 professionisti - di cui più di 30.000 nella Mazars partnership integrata - per assistere clienti di varie dimensioni in ogni fase del loro sviluppo (*Dove consentito dalle leggi vigenti del paese).
GMC è un’importante realtà consulenziale a sostegno delle aziende che, ogni giorno, si misurano con le sfide poste dal cambiamento. GMC supporta la creazione di ambienti di lavoro in cui si possa integrare il successo economico con il benessere di chi vi lavora, mettendo al centro, le Persone.
Studio Legale Integrato - E’ una società tra avvocati costituita nel 2021. E’ tra le realtà più giovani del panorama nazionale. Ha come obiettivo quello di creare una realtà che attiri ed integri le migliori professionalità nell’ambito della consulenza alle imprese. Uno studio che non si basa sui nomi dei singoli, bensì sulla forza del gruppo.
Andrea Künzi è Presidente di Künzi S.p.A con sede a Bresso (MI) e presidente e CEO di Hübeli AG con sede a St. Moritz (Svizzera).
Künzi S.p.A. sarà l’azienda che testimonierà la propria esperienza nel cambio generazionale. Parteciperà Andrea Künzi, presidente di Künzi S.p.A con sede a Bresso (MI) e presidente e CEO di Hübeli AG con sede a St. Moritz (Svizzera). La sua è la terza generazione in una azienda fondata dal nonno nel 1936, per Hübeli è la seconda generazione nell’azienda fondata dal padre nel 1977.
L’evento è sostenuto anche da CCI France Italie, la Chambre, la prima rete d’affari franco-italiana, con oltre 380 imprese francesi e italiane aderenti. Fondata a Milano nel 1885, è anche la più antica camera di commercio estera in Italia. La missione della Chambre è quella di favorire e contribuire allo sviluppo e al consolidamento delle relazioni economiche e commerciali tra la Francia e l’Italia offrendo opportunità di incontro e relazione per la comunità d’affari franco-italiana.
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