Coefficiente di Gini: cos’è l’indice citato da Mario Draghi (e perché l’Italia è messa male)

Mario D’Angelo

19/02/2021

Il coefficiente di Gini nell’anno della pandemia è aumentato di 4 punti in Italia, ha ricordato Draghi. Perché è un problema.

Coefficiente di Gini: cos’è l’indice citato da Mario Draghi (e perché l’Italia è messa male)

Il premier Mario Draghi, nel suo intervento per ottenere la fiducia in Senato, ha parlato del coefficiente di Gini, in una parte del discorso che verteva sulle disuguaglianze in Italia. Nello specifico, Draghi ha spiegato che solo nel 2020, anno della pandemia, il coefficiente è cresciuto di ben 4 punti. Si tratta di una misura che viene spesso usata come indice di concentrazione, in particolare del reddito o della ricchezza. Vediamo cos’è, nello specifico, il coefficiente o indice di Gini, come si calcola e a cosa serve.

Cosa è il coefficiente di Gini, citato da Draghi in Senato

Nel 1912, lo statistico italiano Corrado Gini (1884-1965) introdusse il coefficiente di Gini, che misura le disuguaglianze di una distribuzione. È un numero compreso tra 0 e 100 (in percentuale), dove lo zero corrisponde alla perfetta equidistribuzione e 100 alla massima concentrazione.

Lo stesso ISTAT ne fornisce una definizione molto precisa: “L’indice di concentrazione di Gini è una misura sintetica del grado di diseguaglianza della distribuzione. Questo indice è pari a zero nel caso di una perfetta equità della distribuzione, nell’ipotesi cioè che tutte le famiglie dispongano dello stesso reddito o della stessa ricchezza; è invece pari a 100 nel caso di totale diseguaglianza, nell’ipotesi che la totalità del reddito o della ricchezza sia assegnato ad una sola famiglia”.

Nel caso della distribuzione del reddito, ad esempio, un valore zero del coefficiente di Gini indica una situazione in cui tutti percepiscono lo stesso reddito, mentre un valore di 100 si avrebbe quando una singola famiglia percepisce tutto il reddito mentre tutte le altre hanno reddito nullo.

Come si calcola l’indice di Gini

Naturalmente entrambi i valori estremi non sono riscontrabili nella realtà, ma è chiaro che un Paese che abbia un coefficiente di Gini più vicino allo 0 relativo alla ricchezza sarà un Paese più equo, mentre in un Paese con un coefficiente più alto saranno presenti maggiori disuguaglianze.

La definizione matematica del coefficiente di Gini si basa sulla curva di Lorenz della distribuzione della ricchezza. Nello specifico, Treccani spiega che la misura si definisce come il rapporto fra l’area compresa tra la retta a 45° di equidistribuzione e la curva di Lorenz (A) e l’intera area sottesa alla retta di equidistribuzione, pari a 0,5 (A+B).

Coefficiente di Gini: com’è messa l’Italia

Sviluppato da un italiano ma ritenuto affidabile a livello internazionale, l’indice di Gini è un parametro utilizzato in tutto il mondo per misurare la disuguaglianza della ricchezza dei vari Paesi. Secondo il sito TrueNumbers.it, l’Italia ha uno fra gli indici più alti a livello europeo. Peggio di lei fanno solo Spagna, Romania, Lettonia, Lituania e Bulgaria. Quello italiano è quindi il secondo indice di Gini più alto dell’Europa occidentale.

Ai primi posti in Europa ci sono Slovacchia, Slovenia, Repubblica, Ceca, Belgio e Finlandia.

Nel 2017, la Banca Mondiale ha assegnato al nostro Paese un valore di 35,9, mentre oggi, secondo uno studio della Banca d’Italia, si attesta a 41,1.

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