La responsabilità professionale di un avvocato sorge quando questi viola specifici obblighi contrattuali e così facendo provoca un danno ai suoi clienti. Approfondiamo insieme la complessa dinamica.
L’attività svolta tipicamente dall’avvocato è quella di fornire prestazioni di carattere intellettuale. Ciò nonostante, sebbene non sia tenuto a garantire il raggiungimento di certi risultati, la legge sanziona il legale che commette errori durante il proprio mandato, prevedendo una vera e propria responsabilità professionale dell’avvocato.
L’avvocato non può garantire un risultato certo: nel momento in cui accetta l’incarico, non è dato sapere se la causa verrà vinta o se il cliente riuscirà a ottenere il bene della vita o le utilità sperate.
Questo perché le diverse variabili che entrano in gioco (leggi vigenti, comportamento della controparte, abilità del difensore, orientamento del giudice, e così via) andranno a influenzare nettamente l’esito di qualsiasi controversia. Ciò determina, dunque, che in linea di massima l’avvocato non può essere chiamato a rispondere civilmente di qualsiasi nocumento lamentato dal cliente.
Tuttavia, da qui non deriva la conclusione opposta: se l’avvocato commette errori durante lo svolgimento dell’incarico, a causa di propria negligenza, egli può essere chiamato al risarcimento del danno.
É quanto si ricava dall’art. 1176, comma 2 del codice civile, secondo cui il professionista che durante lo svolgimento del mandato non rispetti la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico incorre in responsabilità per i danni che abbia cagionato al proprio creditore, ossia - nel caso specifico - al suo cliente.
Ma analizziamo bene la questione sotto i vari profili:
La responsabilità professionale dell’avvocato
Il rapporto cliente-avvocato
Come chiarito dalla Corte di Cassazione “la responsabilità professionale dell’avvocato deriva dall’obbligo (art. 1176 comma 2 c. c. e art. 2236 c. c.) di assolvere, sia all’atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione e informazione del cliente, ai quali sono tenuti a rappresentare tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di chiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole” (In tal senso anche le sentenze Cass. 24544/2009 citata da ultimo da Tribunale di Milano sez. I. sentenza n. 7899 del 30.09.2021).
La prestazione professionale fornita dall’avvocato a favore del proprio assistito è ritenuta comunemente una obbligazione di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista assumendo l’incarico, si impegna a porre in essere tutte le condizioni tecnicamente necessarie per consentire al cliente la realizzazione dello scopo perseguito, ma non a conseguire il risultato.
Come tutti, può succedere che anche un avvocato commetta negligenze nello svolgimento dell’incarico conferitogli dal proprio assistito. Vediamo gli elementi da conoscere:
L’obbligo di assicurazione professionale
Dal 15 agosto 2013 è stato imposto l’obbligo di assicurazione per tutte le professioni (DPR 137/2012). In particolare, la legge professionale forense, all’art. 12, prevede in capo agli avvocati l’obbligo di stipulare una polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile derivante dall’esercizio della professione.
La polizza deve comprendere anche la custodia di documenti, somme di denaro, titoli e valori ricevuti in deposito dai clienti. Tra i vari obblighi informativi gravanti sull’avvocato si segnala quello di rendere noto al cliente gli estremi della propria polizza assicurativa. Gli estremi delle polizze assicurative e di ogni loro successiva variazione sono comunicati al consiglio dell’ordine. La mancata osservanza delle predette disposizioni previste costituisce illecito disciplinare.
La previsione normativa mira a tutelare il cliente dai possibili pregiudizi subiti a causa di una condotta negligente dell’avvocato, infatti, la polizza copre la responsabilità civile del legale per tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, causati anche per colpa grave, nello svolgimento della professione.
L’onere della prova
In materia di responsabilità professionale per la condotta inadempiente dell’avvocato, non è sufficiente allegare il non corretto compimento dell’attività, ma bisogna provare (Cass. 10526/2015):
- la sussistenza del danno,
- il nesso eziologico tra l’evento lesivo e la condotta negligente.
È fondamentale dimostrare che, ove l’avvocato avesse tenuto il comportamento dovuto, l’assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni. Diversamente opinando, manca la prova del nesso causale tra la condotta del legale, attiva od omissiva, e il risultato derivatone (vedere la sentenza della Corte di Cassazione n. 1984/2016).
Per parte sua, l’avvocato deve provare di aver osservato le regole dell’arte, ossia di aver svolta la propria prestazione con la diligenza media richiesta dalla legge (così come previsto dall’art. 1176 c. 2 c.c.).
Infatti, il legale si impegna alla prestazione della propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non al suo conseguimento. Pertanto, l’inadempimento dell’avvocato non può desumersi solo dal mancato ottenimento dell’esito voluto dal cliente, ma va analizzato alla luce dei doveri relativi allo svolgimento dell’attività professionale.
Quindi, il danno derivante dall’omissione del professionista (ad esempio, la tardiva proposizione dell’appello o l’omessa produzione di documenti) è ravvisabile solo se, in base a criteri probabilistici, si accerti che, senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato raggiunto (ad esempio, il gravame sarebbe stato giudicato fondato, se fosse stato proposto tempestivamente) (Cass. 2638/2013; Cass. 1984/2016).
Come fare causa
Per chiedere, dunque, il risarcimento all’avvocato non basta che l’assistito dimostri inadempienza e negligenza dell’avvocato ma deve dimostrare che se la condotta e le scelte dell’avvocato in corso di causa fossero state diverse, la causa stessa sarebbe stata vinta con sentenza favorevole e non persa.
Una volta verificatosi questo quadro, per fare richiesta di risarcimento all’avvocato bisogna inviare la lettera al professionista per contestarne il suo operato e chiedere i danni. È bene precisare che bisogna rispettare anche dei termini entro cui agire con la richiesta di risarcimento all’avvocato. La possibilità di fare richiesta di risarcimento all’avvocato per causa persa si prescrive, infatti, entro 10 anni a decorrere dal momento in cui il danno si è effettivamente verificato.
Con una recente sentenza si è fatta ancora più luce sul tema della responsabilità dell’avvocato.
La Corte di Cassazione con la sentenza del 24-05-2016, n. 10698 ha sancito che la responsabilità dell’avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare:
- se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo,
- se un danno vi sia stato effettivamente e, infine,
- se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva (anche per violazione del dovere di informazione), e il risultato derivatone.
L’avvocato, infatti, è tenuto solo a svolgere l’attività richiesta, non già a vincere la causa, anche perché l’esito del giudizio inevitabilmente incontra il limite del libero convincimento del giudice. Ne consegue che è onere dell’attore, ai fini della sussistenza della responsabilità dell’avvocato per negligenza, dimostrare che la sua domanda giudiziale, ove correttamente formulata e sostenuta dall’avvocato, avrebbe avuto ragionevoli probabilità di accoglimento.
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