Il governo Meloni vuole prorogare di un anno le concessioni balneari, ma la Commissione europea ricorda che l’Italia ha preso impegni diversi. C’è poi una sentenza contraria del Consiglio di Stato.
Sui balneari rischia di consumarsi un nuovo strappo tra Italia e Unione europea. Il governo Meloni vuole prorogare di un anno (cioè alla fine del 2024) le concessioni ai gestori degli stabilimenti in spiaggia. Per questo è stato approvato un apposito emendamento alla legge di conversione del decreto Milleproroghe. Tuttavia la Commissione europea si oppone, visto che il nostro Paese ha preso impegni diversi, che si intrecciano con il Pnrr.
Non solo: una sentenza del Consiglio di Stato ha fissato la scadenza al prossimo 31 dicembre 2023 e una decisione contraria potrebbe essere impugnata nei tribunali.
In tutto ciò i gestori degli stabilimenti non si accontentano della possibile mini-proroga e, come i benzinai, chiedono l’apertura di un tavolo straordinario con i rappresentanti dell’esecutivo, dando loro più tempo per continuare a lavorare con l’attuale regime.
Concessioni balneari, cosa rischia il governo Meloni con la proroga
Un portavoce della Commissione Ue ha fatto sapere che “i cittadini e le imprese italiane hanno bisogno, senza ulteriori ritardi, di procedure trasparenti, imparziali e aperte, per decidere a quale impresa debba essere concesso il diritto di utilizzare il suolo pubblico, in questo caso le spiagge, per offrire i propri servizi”.
Secondo il portavoce Bruxelles “continua a seguire da vicino gli sviluppi sulla riforma delle concessioni in Italia” che, evidenzia, “è già oggetto di una procedura d’infrazione”, visto che sulle risorse pubbliche bisogna applicare “parità e concorrenza”.
Quello che rischia il governo Meloni, quindi, è l’apertura un’ulteriore procedura di infrazione contro l’Italia, con una possibile multa milionaria contro il nostro Paese. Non solo: l’esecutivo rischia anche la violazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che potrebbe portare al blocco di parte dei finanziamenti miliardari a favore di Roma.
Cosa chiedono davvero i balneari
In realtà anche il governo Draghi aveva permesso ai Comuni una dilazione di 12 mesi per disciplinare le gare, perché senza un piano organico risulta impossibile anche solo ipotizzarle. Ma i tempi di un eventuale tavolo Comuni-Regioni per costruire i bandi su cui si gioca il futuro di questo comparto, così strategico per il turismo italiano, rischiano di diventare molto lunghi.
I sindacati dei balneari bocciano la mini-proroga e chiedono che venga fatta subito una mappatura delle spiagge e delle concessioni, per prevedere poi supporti economici a chi non potrà vincere le gare. I rappresentanti dei gestori degli stabilimenti vogliono quindi più tempo e più garanzie, consapevoli che continuare con la strategia attendista delle proroghe, visti gli orientamenti europei e giurisprudenziali contrari, non porti che a incertezza, senza soluzioni strutturali.
Gli imprenditori che hanno da decenni le concessioni chiedono insomma che nei nuovi bandi si tenga in considerazione il “know how” di chi gestisce gli stabilimenti da anni, con tutele particolare per chi ha solo attività balneari.
Lo scontro tra Meloni e la Commissione Ue
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, interpellata sul tema, ha detto: “Credo ci siano interlocuzioni che si possono ancora avviare, a partire dal tema della mappatura delle nostre spiagge per ragionare nel senso di difendere anche un mondo produttivo che per noi è strategico”.
Quindi ha preso tempo, spiegando che “vedremo nelle prossime ore anche nella discussione in aula quali saranno le tempistiche, ma è uno dei dossier su cui siamo impegnati anche con una interlocuzione con l’Ue”.
A intervenire con più forza dal suo partito, Fratelli d’Italia, è il fedelissimo della presidente, nonché vicepresidente della Camera Fabio Rampelli. “Vorremmo sapere dall’Unione europea - ha tuonato - quali altri Paesi europei abbiano messo a disposizione della concorrenza i loro beni e, in particolare, le loro spiagge. Siamo molto perplessi su quella che per noi appare come cannibalismo finanziario sulle nostre spiagge a vantaggio di operatori ben lontani dall’economia reale e locale”.
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