Coronavirus: la cura è nel plasma dei pazienti guariti? La prima fase di sperimentazione promette molto bene, ma non mancano le polemiche.
Coronavirus: la cura al plasma è tornata ad attirare l’attenzione del mondo intero. Essa, secondo alcuni, potrebbe essere la soluzione all’emergenza.
Si tratta di un speranza dettata dai primi risultati della sperimentazione condotta in Italia, che hanno dato una marcia in più al percorso per sconfiggere la malattia.
Il progetto era stato messo in atto dal gruppo farmaceutico italiano Kedrion Biopharma che ha proposto questa promettente terapia e fornito il kit per la sperimentazione ai centri trasfusionali del Paese e sulla quale si è detto fiducioso anche il virologo Roberto Burioni.
I ricercatori hanno dichiarato che la probabilità di efficacia della cura al plasma è molto elevata, vicina al 90-95%. Infatti, in Italia c’è già più di un caso di guarigione: anche una donna incinta residente a Mantova ha recuperato molto in fretta grazie alla somministrazione di sacche di plasma di altri pazienti guariti prima di lei. Tuttavia, le polemiche non mancano.
Cura al plasma contro il coronavirus: come funziona?
Il sangue dei pazienti guariti dal coronavirus è ricco di anticorpi. Inserendo con una trasfusione nell’organismo dei malati questi stessi anticorpi sviluppati da coloro che sono già guariti, si può ottenere un processo immunizzante accelerato. Cure che si basano sulla stessa metodologia già usata con successo per combattere altre malattie come Ebola e SARS.
Le immunoglobuline estratte dal plasma di persone guarite contengono quantità concentrate di anticorpi specifici in grado di contrastare la malattia in casi sintomatici gravi e possono essere d’aiuto per bloccare l’evoluzione della sintomatologia sia nei pazienti già ricoverati, sia nei soggetti considerati a maggiore rischio.
Obiettivo della cura al plasma, tra le altre cose, è anche di offrire un quadro più esaustivo del decorso clinico dei pazienti trattati, come tempistiche di miglioramento della respirazione, durata di degenza in terapia intensiva, giorni in ventilazione meccanica, possibilità di sopravvivenza e così via. Informazioni preziose per studiare il coronavirus più da vicino.
Intanto, in attesa dell’ok per l’avvio di una produzione industriale su scala, sono promettenti i risultati registrati dalla somministrazione di plasma iper-immune a pazienti con COVID-19 in condizioni critiche, effettuata da alcuni centri italiani. Altri si stanno attrezzando per continuare con i trial.
Il parere dei virologi
Il virologo Roberto Burioni ha esaminato ogni possibile scenario, soprattutto in vista degli sviluppi della Fase 2 partita oggi e che vedrà oltre 4 milioni di italiani uscire dal lockdown per tornare a lavoro.
Tra gli scenari più promettenti per rispondere a eventuali nuovi picchi di contagio, Burioni ha segnalato proprio la cura al plasma, come ha ribadito anche in un’intervista a Che tempo che fa, parlando con Fabio Fazio. Secondo l’esperto, se i numeri confermeranno le prime evidenze, si potrà affermare di avere finalmente un’arma specifica contro la COVID-19.
In trasmissione è intervenuto anche il virologo Fausto Baldanti, direttore del laboratorio di virologia molecolare del Policlinico San Matteo di Pavia, in prima linea proprio nell’uso del plasma iperimmune. Quest’ultimo ha spiegato che la cura al plasma è la migliore opzione in mancanza di farmaci specifici, grazie ai suoi “anticorpi neutralizzanti”, capaci di uccidere il virus e ha sottolineato l’urgenza di raccoglierne più sacche possibile per farsi trovare pronti.
Tuttavia, secondo Burioni, questa strada non è priva di rischi. Egli ritiene che debba essere presa in considerazione solo in caso di emergenza, almeno finché i numeri non diranno il contrario e il siero si potrà sintetizzare in laboratorio escludendo le sostanze non specifiche.
Il 29 aprile scorso Burioni ha anche realizzato un video, pubblicato su MedicalFacts, attraverso il quale ha messo in evidenza quelli che a suo avviso sono i pro e i contro della cura che si sta sperimentando.
Le polemiche sulla cura al plasma
Mentre tutti si domandano se sarà la cura al plasma a sconfiggere il Coronavirus, Giuseppe De Donno, direttore di Pneumologia e dell’Unità di Terapia Intensiva respiratoria al Carlo Poma di Mantova, si è scontrato con Burioni sul tema.
Nel suo ospedale la somministrazione di plasma iperimmune ha guarito una giovane donna incinta nei giorni scorsi, ma è comunque finita nel mirino dei Nas. Questi ultimi hanno ritenuto necessario indagare sull’applicazione della terapia, poiché ha protocolli molto rigidi e non prevede che sia usata su donne in stato interessante. Tuttavia, l’azzardo ha permesso di salvare due vite.
Per questo, De Donno qualche giorno fa si era lanciato anche in una polemica sui social contro Roberto Burioni e il suo approccio moderato alla cura.
Il primo ha assicurato che presto fornirà dati generali provenienti dalla riesamina dei casi trattati a Mantova e Pavia, dove sono stati quasi del tutto azzerati i morti per COVID-19 e le sperimentazioni si sono appena concluse. Il secondo resta ancora cauto, pur non negando che si tratti di una prospettiva interessante.
Al via i primi accordi per la produzione in scala
Ogni donatore di sangue potrebbe aiutare fino a tre malati critici e usare la cura al plasma dei pazienti guariti, inoltre, ha dimostrato numerosi vantaggi, come la scarsa presenza di effetti collaterali rilevanti, motivo per cui i test clinici sono stati approvati molto velocemente e distribuiti in gran parte della penisola. Per questo, il dottor De Donno ritiene che si dovrebbe puntare molto sull’uso di questo rimedio anche su larga scala.
Non è l’unico a pensarlo. Infatti, è stata avviata una collaborazione tra l’azienda farmaceutica israeliana Kamada e la Kedrion Biopharma per la produzione e la distribuzione dell’immunoglobulina derivata dal plasma come potenziale trattamento per pazienti con coronavirus anche all’estero, una volta ottenute le autorizzazioni per la commercializzazione del prodotto.
Obiettivo primario della collaborazione è fornire la cura per il trattamento di pazienti in Italia, Israele e Stati Uniti attraverso vari programmi clinici, e successivamente espandere le attività di sviluppo e commercializzazione in altri Paesi.
La speranza che la cura al plasma rappresenti il rimedio per il coronavirus, in attesa del vaccino, si fa sempre più concreta.
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